Seconda guerra sino-giapponese: il massacro di Nanchino il 13 dicembre 1937

Fu nel corso della seconda guerra sino-giapponese che l’esercito imperiale giapponese riuscì a invadere il territorio avversario. A Nanchino fu istituita un’area di protezione e le due nazioni giunsero a un accordo: non ci sarebbe stato nessun attacco nelle zone della città in cui non era presente l’esercito cinese.

I giorni passavano e il 7 dicembre le truppe nipponiche ordinarono la resa di Nanchino entro le 24 ore successive.

“L’esercito giapponese, forte di un milione di uomini, ha già conquistato Changshu. Abbiamo circondato la città di Nanchino. L’esercito giapponese non avrà alcuna pietà per chi opporrà resistenza, trattandolo con estrema severità, ma non farà alcun male né ai civili innocenti né al personale militare cinese che si comporterà in maniera non ostile. Il nostro più sincero desiderio è conservare ogni cultura dell’Estremo Oriente. Se le vostre truppe continueranno a combattere la guerra a Nanchino, sarà inevitabile che la vostra cultura millenaria sia ridotta in cenere e che il governo al potere nell’ultimo decennio svanisca nell’aria. Questo comandante in capo dà queste disposizioni alle vostre truppe nell’interesse dell’esercito giapponese. Aprite le porte di Nanchino in maniera pacifica e obbedite alle istruzioni che seguiranno”.

I cinesi non risposero e la città fu presa con la forza. Fu quello il momento che segnò l’inizio delle violenze: i giapponesi, infatti si resero protagonisti di atrocità come omicidi, saccheggi, furti, incendi e stupri (furono circa 20mila le donne che subirono abusi). E il massacro non risparmiò neanche donne e bambini.


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