Padova, 10 novembre – S’impara ad amare sin dalla culla, seguendo un copione ben stabilito e, in gran parte, scritto anche dalle istituzioni. Dunque, i ruoli di fidanzati, compagni, mariti e mogli che non devono tradire e che, se lo fanno, dovranno sentirsi in colpa non sono altro che vere e proprie “recite”. A dirlo non è certo il primo che capita, o qualche scellerato dell’amore carnale. Bensì è quanto è emerso dall’incontro tenutosi ieri a Padova tra una platea di psicoterapeuti e gli studenti delle scuole di specializzazione in Psicoterapia Interazionista, intervenuti al convegno “Discorso amoroso e psicoterapia. Conversazioni sul tema”.
È un dato forse sottostimato, ma la quasi metà dei problemi dei padovani che si rivolgono ad uno psicoterapeuta è riconducibile alla sfera amorosa. Radames Biondo, uno degli organizzatori del convegno, illustra il suo punto di vista: «Pensiamo ad un disturbo alimentare e spesso è un effetto di una relazione affettiva-amorosa. L’amore, dunque, ci fa male? No, ma dobbiamo imparare ad avere consapevolezza dei cliché che nella nostra società culturale stanno dietro all’amore: come per la moda sono pochissime le persone che incarnano i corpi delle modelle e dei modelli delle passerelle, perché la maggior parte di noi ha fisicità normali con pregi e difetti, così la felicità perfetta che ci suggeriscono e insegna la letteratura (soprattutto quella cinematografica), creano delle aspettative che saranno immancabilmente deluse perché una persona sola non può soddisfarle. Dunque un solo compagno non è abbastanza, abbiamo bisogno di più relazioni amorose perché raramente un’unica persona può darci tutto quello che chiediamo. Il matrimonio fa appassire i fiori colti dall’amore perché li ingabbia in processi istituzionali. Esclusività del rapporto, gelosia, possesso, sono copioni già dati che a noi tocca solo interpretare perdendo in spontaneità»
Forti delle ricerche giustificate dalla psicologia, ce ne vorrà assai da qui a considerarsi “liberi” da ogni cliché, così come non sarà straordinariamente facile saltare con leggerezza cosmica da un letto all’altro, senza che la nostra felicità venga minimamente scalfita. Tuttavia, val la pena di approfondire: «Si arriva a chiedere l’aiuto dello psicoterapeuta – aggiunge Biondo – perché non riusciamo a reggere il ruolo che il nostro copione ci ha dato. La conclusione è che la coppia non sempre rende felici. Siamo troppo presi a corrispondere i prototipi che ci vengono imposti, ad esempio durare delle ore nella pratica sessuale come fossimo protagonisti di pellicole a luci rosse, quando la realtà è molto più contenuta. Istituzionalizzare il rapporto sentimentale ha una curva che transita da un interesse di innamoramento all’amicizia fino alla fratellanza, invece la discesa della curva ci indica solo che quel rapporto è terminato e la copia si ostina a continuare a ripetere la coreografia dell’amore. Dietro possono starci ragioni economiche, la preoccupazione per i figli, ma il vero risultato è un silenzio patologico per la coppia».
Dunque, la domanda che tutti si porranno tutti, a questo punto, è: «Come cercare la felicità?». Radames Biondo ha la sua ricetta: «Prima di tutto conservando sempre degli spazi individuali e ricordando che non è l’altro ma gli altri a completarmi, che possono essere gli amici, i familiari, i colleghi di lavoro. Accettiamo più persone nella nostra vita come amiamo più autori letterari o più lavori. Non significa che dobbiamo necessariamente tradire, ma se questo dovesse accadere non è utile raccontarlo al partner. Rompiamo il ragionamento per cui tradimento uguale dolore».
Fonte: Il Mattino di Padova