Uno dei fatti di cronaca internazionale che, in questi primi giorni del nuovo anno, ha sconvolto l’opinione pubblica mondiale, è sicuramente quello avvenuto a Calcutta, in India. Una ragazza di soli 12 anni è stata stuprata ripetutamente dai suoi aggressori e, subito dopo, addirittura bruciata viva, perché si era rifiutata di ritirare la denuncia nei confronti dei suoi aguzzini.
Questo terribile evento, verificatosi in uno Stato in cui il problema della violenza nei riguardi delle donne e dei bambini è sempre drammaticamente all’ordine del giorno, ha suscitato la rabbia e l’indignazione di tutta la popolazione locale, con migliaia di persone che si sono riversate in strada. Inoltre, numerosi attivisti hanno accusato i poliziotti di non aver protetto in modo adeguato la giovanissima dopo la prima violenza e di non essersi attivati per identificare i responsabili di questo gravissimo e deprecabile reato.
In seguito allo stupro, il governo indiano ha promesso tolleranza zero per coloro che si rendono responsabili di simili reati. Proprio nello scorso mese di febbraio, il presidente indiano firmò un decreto, che prevedeva un notevole inasprimento delle pene per gli stupratori, compresa l’adozione della condanna a morte, nel caso in cui la vittima muoia o resti gravemente menomata.
Questa drastica decisione fu resa necessaria, dopo il clamoroso caso della ragazza di New Delhi violentata brutalmente su un autobus, avvenimento che scatenò l’indignazione di tutto il popolo indiano, come si è verificato in quest’ultimo caso. Fino a quel momento, il Codice penale indiano prevedeva una pena massima di dieci anni per le violenze sessuali.
Dinanzi a questo evento drammatico, che ha scosso profondamente le nostre coscienze, una domanda sorge spontanea: in Italia quali pene sono previste in materia di violenze sessuali?
In seguito ad un lungo e difficile iter legislativo, caratterizzata da non poche difficoltà, il reato di violenza sessuale fu compreso nell’ambito dei delitti sessuali, previsti e disciplinati dal nostro Codice Penale negli articoli da 609 bis a 609 decies, collocati nel titolo XII del secondo libro, dedicato ai “delitti contro la persona”. L’importante disposizione normativa del 15 febbraio 1996 n.66, non ha soltanto inquadrato in un altro titolo questa tipologia di delitti, ma ha modificato profondamente i tipi di illecito e la relativa disciplina, unificando i reati di “violenza carnale” e “gli atti di libidine violenti” sotto la più generica fattispecie di reati di “ violenza sessuale”. Pertanto, questa legge intese tutelare in modo più incisivo la donna nei luoghi di lavoro e nella famiglia. Tale riforma cercò di porre in risalto che il bene a fondamento dei reati sessuali è un bene della persona, la libertà sessuale.
Lo scorso 11 ottobre, in un clima caratterizzato da aspre polemiche, fu approvato il decreto legge sul femminicidio, termine con il quale si è soliti indicare l’uccisione di una donna per motivi legati alla sua identità di genere. La normativa prevede varie misure: l’aggravante per la relazione affettiva tra l’aggressore e la vittima della violenza, la possibilità di inasprire la pena anche nel caso di violenza sessuale contro donne in gravidanza o commessa dal coniuge, arresto obbligatorio in flagranza di reato, introduzione del braccialetto elettronico, lo stanziamento di dieci milioni per il piano antiviolenza, obbligo di informazione per le vittime e il patrocinio gratuito per le donne che hanno subito stalking, maltrattamenti domestici o mutilazioni genitali e, infine, querela irrevocabile per stalking in presenza di gravi minacce ripetute, ad esempio con l’uso di armi. Quest’ultima norma ha suscitato veementi critiche da parte dell’attivismo femminista, che l’ha definita come paternalista.