E’ stata inaugurata, alle Scuderie del Quirinale, l’esposizione dedicata all’artista messicana Frida Kahlo, che rimarrà aperta fino al 31 agosto. In mostra oltre 40 straordinari capolavori tra cui il famosissimo “Autoritratto con collana di spine e colibrì” del 1940, per la prima volta esposto in Italia. Il progetto è a cura di Helga Prignitz-Poda.
Frida Kahlo nacque a Coyoacàn, vicino a città del Messico, il 6 luglio del 1907, ribelle, ironica e passionale fu il simbolo dell’avanguardia e dell’esuberanza artistica della cultura messicana del Novecento. L’artista diceva, tuttavia, di essere nata nel 1910, anno di inizio della Rivoluzione Messicana, che durò fino al 1917, in quanto si sentiva profondamente figlia di quell’importante evento storico. Affetta da spina bifida, che i genitori e le persone attorno a lei scambiarono per poliomielite (ne era affetta anche sua sorella minore), fin dall’adolescenza manifestò una personalità molto forte e determinata, unita a un singolare talento artistico e uno spirito indipendente, riluttante verso ogni convenzione sociale.
Inizialmente cominciò ad avviarsi alla carriera di medico ma un episodio cambiò radicalmente le sorti della sua vita. Il 17 settembre del 1925, infatti, rimase gravemente ferita in un incidente avvenuto sull’autobus. La colonna vertebrale le si spezzò in tre punti nella regione lombare; si frantumò il collo del femore, le costole; la gamba sinistra ebbe 11 fratture; il piede destro slogato e schiacciato; lussazione alla spalla sinistra e l’osso pelvico spezzato in tre. Inoltre un corrimano dell’autobus, come se non bastasse, le perforò il fianco e uscì dalla vagina. Fu dunque durante la lunghissima convalescenza che Frida conobbe il comunismo e la sua passione per la pittura: cominciò infatti a dipingere; i genitori, inoltre, le regalarono un letto a baldacchino con sopra appeso uno specchio, affinché potesse vedersi, e dei colori. Dopo poco tempo mostrò le sue opere al critico Diego Rivera che, nel 1929, diventò suo marito e che rappresentò molto nei suoi dipinti.
La caratteristica che più ci colpisce, osservando i dipinti di Frida, è la sua continua presenza all’interno di essi. Numerosissimi sono gli autoritratti: il soggetto che più ama rappresentare altro non è che lei stessa, con il suo viso in primo piano, che sia questo visto di fronte o di lato. Fu proprio lo specchio regalatole a sconvolgerla e ad ispirarla, portandola a raffigurarsi. A spiccare sono le folte sopracciglia nere, gli occhi profondi e penetranti, la bocca rossa e a volte serrata. Intorno a lei paesaggi messicani, caratterizzati da verde fogliame acceso o da animali del luogo, come scimmie e colibrì. I suoi dipinti mettono in risalto la sua persona, con le sue problematiche, con il suo vuoto esistenziale, con la sua voglia di esprimersi, in tutta la sua naturalezza e di comunicare il suo paesaggio interiore, spesso doloroso e tormentato. Rappresentò tutti i momenti significativi della sua vita: la sua nascita, l’allattamento, gli aborti, i dolori dei suoi costanti problemi di salute, la sua famiglia, il suo rapporto tormentato con Diego, la paura della morte.
Ma i suoi dipinti non sono soltanto il riflesso delle sue vicende autobiografiche, sono anche la storia del suo Paese, la sua ideologia comunista, le origini, le sue tradizioni, le sue vesti folkloristiche, il mondo a lei contemporaneo. Sono riflessioni profonde su tutte quelle trasformazioni sociali e culturali che avevano portato alla Rivoluzione e che ad essa seguirono. Frida creò un linguaggio tutto suo, tra il figurativo e simbolico, tra il realistico e il surreale, nel quale riesce a fondere istanze apparentemente contrastanti.
Molto importante è infatti la caratteristica del dualismo che si ritrova molto in quella che Frida chiama la “sua realtà”. Amore e dolore, vita e morte, luce e ombra, forza e fragilità, maschile e femminile. Tutto, secondo Frida, si unifica e si mischia fino a confondersi. E’ questa la sua pittura, è questa la sua arte.
Il viso di Frida e tutta la sua persona diventarono un’icona: non c’era fotografo famoso che non si fermasse da lei per incontrarla e fotografarla. Si trasformò in un’icona della ribellione, dell’estrosità, addirittura dell’egocentrismo, della rivoluzione e dell’emancipazione femminile.
Diverse correnti artistiche, culturali e internazionali, inoltre, si intrecciarono con il Messico e quindi con la sua arte: dal Pauperismo rivoluzionario, all’Estredentismo, al Surrualismo fino ad arrivare al Realismo magico.
In questa mostra sono presenti tutte le opere più famose: il già citato “Autoritratto con collana di spine e colibrì”, del 1940; “Autoritratto con abito di velluto”, del 1926, dipinto a soli 19 anni ed eseguito per l’amato Alejandro Gòmez Arias, dove il suo collo allungato vuole recuperare l’estetica di Parmigianino e di Modigliani. Una selezione di disegni completa il progetto, tra cui il “Bozzetto per Henry Ford Hospital”, del 1932, il famoso corsetto in gesso che Frida portò negli ultimi, dolorosi anni della sua vita che decorò orgogliosamente come se fosse una lucente armatura da sfoggiare. Sono presenti anche alcune fotografie di artisti che, facendo tappa a Città del Messico, non poterono fare a meno che avere un contatto con lei, come Nickolas Muray, a cui dobbiamo la famosa “Frida Kahlo sulla panca bianca”, del 1938.
Tutta l’esposizione ci parla di lei, in prima persona, con le sue vicende traumatiche, come l’aborto, che raffigura più volte. Ci parla di una giovane donna dallo sguardo spavaldo e fiero, che quasi offusca quello che le circonda; una donna determinata, forte e convinta delle sue idee, una donna che ti mette in soggezione, una donna che ama mostrarsi, che si raffigura continuamente e non ha paura di far vedere le proprie fragilità, i propri desideri, la propria sensualità, il proprio carattere. Una bellezza particolare, ambigua, affascinante.
Roma, 20 marzo