A febbraio era stata la volta di WhatsApp. Stavolta Facebook ha deciso di rilevare la società Oculus VR per una cifra che si aggira intorno ai 2 miliardi di dollari. La transazione, che si concluderà a giugno, prevede infatti 400 milioni di dollari in contanti e 23,1 milioni di azioni ordinarie per un valore di circa 1,6 miliardi (in media 69,35 dollari per azione). Si tratta di un’azienda nota per aver sviluppato dispositivi che lavorano sulla realtà virtuale (la sigla VR sta appunto per “virtual reality”) indirizzati soprattutto all’universo del videogioco, ma che il leader del social network ha intenzione di estendere anche ad usi più “social”. Il cofondatore e amministratore delegato del’azienda Brendam Iribe si è dichiarato entusiasta di lavorare con Zuckerberg, che dal canto suo afferma di voler guardare lontano. «Il mobile è la piattaforma di oggi», afferma quello che nel 2008 è stato nominato il miliardario più giovane al mondo, «adesso ci stiamo attrezzando per le piattaforme di domani». Risulta sempre più chiaro che il social network statunitense non è paragonabile alle esperienze che lo hanno preceduto (uno su tutti MySpace). L’acquisto di Instagram avvenuto due anni fa, la piattaforma di photo sharing che ha recentemente raggiunto quota 200 milioni di utenti mensili attivi, e poi di WhatsApp, il servizio di messaggistica gratuito più diffuso su smartphone, dimostrano una logica aziendale che si fonda su una dinamica di accentramento di tipo imperialista sul modello di Google e pochi altri colossi dell’informatica che puntano a combattere la concorrenza assorbendola, secondo un costume tipicamente americano. Per fare breccia nell’esistenza delle persone, e per far sì che questo processo non sia reversibile, bisogna scomparire dalla loro vista per entrare nei loro occhi e diventare invisibili solo in quanto onnipresenti. In questo senso l’esperienza immersiva che consentirebbe questo tipo di tecnologia ancora poco diffusa non avrebbe eguali; si tratterebbe di fare corpo con l’utente per creargli attorno 360 gradi di pura virtualità, un’esperienza meravigliosa se costruita in modo corretto, ma potenzialmente dannosissima in termini di assuefazione e scollamento dalla realtà, per non parlare dei rischi emotivi di immagini a forte impatto. Tutti abbiamo sognato con Avatar di James Cameron, ma ricordiamoci anche gli scenari di Strange Days della Bigelow come pure le visioni del Cronenberg di eXistenZ. Uomo avvisato…
Roma, 26 Marzo