Si chiama Maria S., la mamma che ha salvato la sua gravidanza. Per i medici del Pronto soccorso del San Giovanni Calibita Fatebenefratelli, non restava che la via dell’aborto terapeutico: il feto era morto, il cuore non batteva. Il bimbo, invece, è nato nello stesso ospedale ed è in perfetta salute. Ciò è stato possibile grazie all’istinto di una madre che non si è voluta fidare della diagnosi dei medici del pronto soccorso.
Oggi chiede giustizia e, visto che il reato di tentato omicidio colposo non può essere contestato, ha deciso di puntare al risarcimento dei danni morali: «Non si può precludere la vita di un bimbo innocente per una superficialità» chiarisce, assistita dall’avvocato Pietro Nicotera, che per lei ha indirizzato all’ospedale la lettera con cui preannuncia l’azione legale. Si era presentata il 4 aprile 2013 al pronto soccorso di ginecologia dell’ospedale sull’Isola Tiberina perché preoccupata dalla comparsa di perdite ematiche. «Signora, ha avuto un aborto interno» le dice una dottoressa «Non c’è traccia del battito in ecografia. E anche se è alle prime settimane di gravidanza, alla quinta bisognerà procedere col raschiamento. Consigliamo il ricovero. Se vuole lo disponiamo subito». Maria S., non se la sente e così su suggerimento della dottoressa, decide in alternativa all’intervento, di assumere un farmaco per provocare l’espulsione e torna a casa. Il tutto viene sintetizzato sul verbale di pronto soccorso. La donna compra il farmaco e torna a casa, ma il suo sesto senso la spinge a non assumerlo. Anzi il giorno dopo si fa visitare dal suo medico di base, all’Eur, specializzato in ginecologia. «Io il mio bambino, anche se la gravidanza non era stata pianificata, lo volevo» dichiara la mamma. Il medico di base rassicura Maria «è vero il battito non c’è, ma la gravidanza è appena cominciata. Aspettiamo una settimana per capire se c’è stato o meno l’aborto interno». Qualche giorno dopo un’ecografia scioglie ogni dubbio: l’embrione è vivo e cresce. La diagnosi elaborata al pronto soccorso era errata.
«Il mio bambino è nato il 2 dicembre del 2013», racconta ora Maria. «Pesava tre chili e mezzo. Ho avuto una gravidanza e un parto naturale, sereno. E ogni volta che mi soffermo a guardare il mio piccolo mi rendo conto del pericolo scampato. Se non avessi seguito il mio istinto sarei stata io stessa la carnefice di mio figlio. Ecco perché sono sempre stata convinta che un’azione legale fosse un’iniziativa non solo giusta, ma doverosa. Nei pronto soccorso il personale deve essere altamente qualificato. Non si può sbagliare con la vita».