Il destino del codice a barre sembra essere segnato, o almeno questo è quanto sostengono un gruppo di scienziati del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, che hanno messo a punto un metodo per produrre microparticelle da utilizzare come “etichette uniche e inconfondibili”.
Il “Massachusetts Institute of Technology di Cambridge”, noto con l’acronimo “MIT”, vanta 78 premi Nobel ed è spesso citato dai media (“Will Hunting, genio ribelle”, “A beautiful mind”) oltre che essere considerato l’istituto di ricerca tecnologica più importante del mondo; per questi motivi quando una ricerca proviene da una fonte del genere ha subito del sensazionale.
In questo caso però del sensazionale potrebbe davvero esserci perché, secondo quanto annunciato su “Nature Materials”, la scoperta degli scienziati del MIT potrebbe essere di altissimo interesse nella lotta alla contraffazione. Il metodo scoperto consente nella produzione di milioni di microparticelle polimeriche (un polimero è una molecola di grosse dimensioni composta da un gran numero di unità uguali connesse tra loro) in grado di essere usate per “marchiare” in maniera inconfondibile. Una delle applicazioni potrebbe essere quella, appunto, di assegnare questa “etichetta” a prodotti farmaceutici che in questo modo sarebbero unici. Così facendo si potrebbe infliggere un duro colpo alla contraffazione.
La vera scoperta però non sta nelle microparticelle polimeriche, ma nel metodo con cui queste possono essere sintetizzate. Gli scienziati hanno infatti proposto un modello innovativo, un modello che prevede l’utilizzo di litografia a flusso per sintetizzate queste microparticelle polimeriche con nanocristalli, materiali molto rari che, se eccitati con un laser “quasi-infrarosso”, emettono colori specifici. Finora la difficoltà era rappresentata dalla lettura dei dati contenuti nelle microparticelle, ma con questo metodo si potrebbero leggere le informazioni contenute al loro interno, anche con dei cellulari; basterebbe colpire l’oggetto con un laser alla giusta lunghezza d’onda. Un po’ quello che già si fa con i laser per leggere, appunto, i codici a barre.
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Roma, 15 aprile