Era la notte del 16 Aprile 1973, quando ci fu il rogo di Primavalle, in via Bernardo da Bibbiena, al terzo piano di quelle case popolari abitato dalla famiglia Mattei, dove scoppiò un incendio in cui rimasero intrappolati i giovani Virgilio e Stefano Mattei, rispettivamente di 22 e 8 anni.
Mario Mattei era allora il Segretario della Sezione “Giarabub” del Movimento Sociale Italiano.
Quella notte fu versata benzina sotto la porta dell’abitazione della famiglia Mattei e, nell’arco di breve tempo, l’incendio divampò nell’intero appartamento.
La madre Anna Maria insieme ai piccoli Antonella di 9 anni e Giampaolo di 3 anni, riuscirono a fuggire dalla porta principale. Anche le altre due figlie si salvarono: Lucia, di 15 anni, si calò dal balconcino del secondo piano, per poi buttarsi tra le braccia del padre Mario, invece Silvia, 19 anni, si gettò dalla veranda della cucina riportando diverse frattura.
Triste sorte invece per Virgilio, 22 anni e il fratellino Stefano di 8 anni, che morirono carbonizzati, non riuscendo a gettarsi dalla finestra.
Gli attentatori erano alcuni aderenti all’organizzazione extraparlamentare di estrema sinistra Potere Operaio, sul selciato la loro firma: “Brigata Tanas – guerra di classe – Morte ai fascisti – la sede del MSI – Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria”.
Inizialmente furono accusati Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo.
I tre furono difesi da molti esponenti di sinistra, i quali definirono l’attentato una montatura, un fatto ricollegabile ad un banale incidente.
Il senatore Umberto Terraccini, il deputato Riccardo Lombardi, lo scrittore Alberto Moravia, furono fra i primi a difendere gli attentatori; anche il quotidiano il Messaggero difese i tre accusati. Il direttore era Alessandro Perrone, e l’editore Ferdinando Maria Perrone.
Fuori le aule dei tribunali, manifestazioni attraverso delle manifestazioni, la sinistra chiese il proscioglimento dei tre militanti di Potere Operaio. Il 28 febbraio 1975, alla fine della quarta udienza del processo, vi furono scontri tra simpatizzanti di destra e di sinistra: lo studente greco Mikis Mantakas, simpatizzante del FUAN-Caravella, venne ucciso a colpi di pistola da estremisti di sinistra vicino al Palazzo di Giustizia.
Dopo la sentenza di secondo grado i tre accusati furono condannati a 18 anni di carcere per omicidio preterintenzionale. Lollo fuggì in Sud-America, Grillo in Nicaragua – entrambi con l’aiuto di Oreste Scalzone – mentre Clavo risulta tuttora irrintracciabile.
Anche Franca Rame aiutò Lollo, lei allora esponente dell’Organizzazione Soccorso Rosso Militante, in una lettera datata 28 aprile 1973 gli scrisse “Ti ho inserito nel Soccorso rosso militante. Riceverai denaro dai compagni, e lettere, così ti sentirai meno solo”.
Nel 2005 la svolta e la riapertura dei fascicoli.
Il 10 Febbraio il Corriere della Sera pubblicò un intervista di Achille Lollo, in cui ammise la colpevolezza propria e degli altri due condannati, aggiungendo che a partecipare all’attentato furono in sei, oltre ai tre condannati: Paolo Gaeta, Diana Perrone ed Elisabetta Lecco. Inoltre, ammise di aver ricevuto aiuti dall’organizzazione per fuggire.
Dopo una settimana anche Manlio Grillo ammise per la prima volta, in un’intervista pubblicata su La Repubblica, la propria responsabilità, ricevendo anche lui aiuti dall’organizzazione per fuggire. Nell’ottobre del 2006 affermerà che la cellula terrorista di cui faceva parte era legata alle Brigate Rosse.
Sempre su Repubblica, Franco Piperno, all’epoca dei fatti Segretario Nazionale di Potere Operaio, confermò anch’egli che il vertice di Potere Operaio fu informato di tutto, ma soltanto dopo i fatti.
Il processo fu poi sospeso per l’aggravamento della salute di Diana Perrone, deceduta il 9 Maggio 2013. Diana era anche la nipote di Alessandro Perrone, la figlia di Ferdinando Maria Perrone.
Tutti gli organizzatori, esecutori e comprimari della strage finora identificati sono a piede libero, e svolgono compiti di rilievo nell’informazione pubblica e della pubblicistica: Pace, Morucci, Piperno, Scalzone, Grillo.
Lollo è tornato in Italia nel 2011, dopo aver lavorato anche lui come giornalista e editore di tre riviste politiche della sinistra brasiliana, mentre Clavo ancora non è rintracciabile.
Roma, 16 Aprile