Milano, 17 maggio 1972, sono circa le ore 09.15 quando il commissario Luigi Calabresi, appena uscito da casa, si appresta ad aprire la sua auto per andare come di consueto al lavoro. Ma quel giorno per lui sarà l’ultimo, ad attenderlo dei sicari che sparandogli alle spalle lo freddarono e scapparono via. Scapparono per anni, fino a quando, nel 1988, uno dei sicari si fece avanti, confessando la dinamica dell’omicidio.
Il commissario Luigi Calabresi era un personaggio scomodo, le sue indagini lo portano a scontrarsi con le piste anarchiche ed estremiste di sinistra.
Calabresi nacque a Roma il 14 novembre 1937, e si fa conoscere per le indagini condotti sul finire degli anni ’60, quando scoppiano bombe tra gli innocenti e le armi illegali viaggiano in tutta Italia.
Il 12 dicembre 1969 una bomba a Piazza Fontana a Milano provoca la morte di 17 persone e 88 feriti. Vengono fermati 84 sospettati, tra interrogatori e alibi i tempi di fermo si prolungano. Durante l’interrogatorio di Giuseppe Pinelli non si sa bene cosa accadde, il suo corpo uscì dalla finestra del quarto piano precipitando al suolo. Per Pinelli fu la morte.
Nella prima versione data dalla questura si parlava di suicidio, Pinelli non resse l’interrogatorio a causa di un alibi contestabile e si gettò dalla finestra.
Le formazioni di sinistra presero di mira il commissario Calabresi, accusandolo come responsabile.
Giornali come L’Espresso e soprattutto Lotta Continua iniziarono una battaglia mediatica contro Calabresi, esortando la massa estremista di sinistra ad odiarlo. Gli fecero eco anche vari intellettuali, ricordiamo Elio Petri, Nelo Risi e Dario Fo.
Tutto questo portò ad una campagna anti-Calabresi, sui mari cittadini si leggevano scritte che volevano la sua testa.
La vendetta da parte di qualcuno arrivò. Il 17 maggio 1972 dei sicari attesero il commissario sotto casa, gli arrivarono alle spalle e lo freddarono. Luigi Calabresi lasciò così una moglie incinta e due figli. Uno di quei figli, Mario, oggi è direttore de La Stampa, e nel libro “Spingendo la notte più in là”, racconta la storia della sua famiglia.
Lotta Continua esultò quel giorno, in un comunicato si leggerà sull’omicidio: “È un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia”.
Il 17 maggio 1973, dopo un anno esatto dalla morte di Calabrei, ci fu un secondo attentato anarchico. Fu lanciata una bomba nel cortile della questura di Milano, in via Fatebenefratelli, mentre in corso l’inaugurazione di un busto dedicato al commissario. Il lanciatore della bomba fu Gianfranco Bertoli, un anarchico individualista, il suo attentato provocò la morte di quattro persone e il ferimento di altre 45.
Nel 1975, ci fu anche la sentenza sulla morte di Pinelli, che assolse la polizia e Calabresi, spiegando che la caduta avvenne a causa di un malore attivo e dall’improvvisa alterazione del centro di equilibrio.
Nel 1988 la svolta sulla morte di Luigi Calabresi. Un pentito, Leonardo Marino, confessò di aver partecipato all’omicidio insieme ad Ovidio Bompressi. I mandanti furono Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, tutti militanti a Lotta Continua.
I protagonisti dell’omicidio furono tutti condannati a 22 anni di reclusione, tranne Marino, dimezzati a 11 per aver collaborato con la giustizia.
Calabresi è stato proclamato servo di Dio dalla Chiesa cattolica, che lo considera martire per la giustizia e le cui qualità cristiane furono riconosciute da Papa Paolo VI.
Giovanni Paolo II lo definisce “testimone del Vangelo e eroico difensore del bene comune”.
È iniziato un processo di beatificazione ad opera del sacerdote Ennio Innocenti.
Roma, 17 maggio.