Giovanni Brusca: l’arresto del 20 maggio 1996

Giovanni Brusca, soprannominato “lo scanna cristiani” o “u verru” a causa della ferocia che ha caratterizzato il suo agire criminale,  è stato un  membro di Cosa nostra, poi divenuto collaboratore di giustizia, condannato per oltre cento omicidi, tra cui quelli di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino Di Matteo. Ha ricoperto un ruolo fondamentale anche nella strage di Capaci, dato che fu lui a far esplodere il tritolo.

Una volta arrestato il padre, il boss Bernardo Brusca, è diventato capo del mandamento di San Giuseppe Jato, fiancheggiatore di Totò Riina, capo dei corleonesi. Proprio dopo l’arresto di Riina e Leoluca Bagarella, ha preso il comando dei corleonesi, in accordo con Provenzano.

Il 20 maggio 1996 è stato arrestato ad Agrigento, nel quartiere Cannatello.  L’azione è stata movimentata in quanto in Via Papillon vi erano più villette a schiera. Per capire esattamente quale di quelle fosse il covo di Giovanni Brusca, i poliziotti hanno mandato un collega in moto lungo la via. Grazie alle accelerate della moto, i poliziotti hanno ascoltato (attraverso le intercettazioni telefoniche sull’utenza di  Brusca) quando il rumore del motore arrivava al massimo, localizzando il covo nella villa situata al civico 34 di Via Papillon.

Dopo l’arresto Giovanni Brusca ha tentato di depistare gli inquirenti, ma nel 2000 si è pentito e ha confessato i numerosi omicidi, vedendo la sua pena ridotta dall’ergastolo a 19 anni e 11 mesi di reclusione.

Roma, 20 maggio


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