Il 25 maggio 1895, lo scrittore Oscar Wilde fu condannato in via definitiva a due anni di carcere e lavori forzati, accusato di sodomia e volgare indecenza. Morì a Parigi nel 1900, povero e alcolizzato, l’esperienza negativa del carcere resterà indelebile fino alla fine dei suoi ultimi giorni. Il carcere fu l’inizio della sua decadenza, lì soffri la fame, la fatica e l’insonnia.
Lo scrittore irlandese aveva stretto amicizia con Alfred Douglas, figlio di John Sholto Douglas marchese di Queensberry. L’amicizia diventò presto qualcosa di più, e tra i due iniziò una relazione tempestosa, vissuta tra addii e ritorni. Chi proprio non sopportava la relazione era John Sholto. Il marchese di Queensberry, chiese più volte ad Oscar di troncare il rapporto con il figlio, ma fu inutile. Così il marchese lasciò un biglietto offensivo per Oscar, in cui era scritto: «A Oscar Wilde che posa a sodomita».
Oscar Wilde cominciava a trovarsi con le mani bucate e, spinto anche da Alfred Douglas che odiava suo padre, denunciò John per calunnia. Quello che sembrava un processo facilmente a favore di Oscar, si ritorse contro di lui. Il marchese cercò e trovò quindici testimonianze riguardanti il reato di sodomia nei confronti di Oscar, che all’inizio si difese spavaldo. Ma le testimonianze aumentavano e stringevano sempre più all’angolo Oscar, che perse la sua sicurezza.
Ricordiamo che in Inghilterra l’omosessualità era un reato e così Oscar Wilde fu condannato a due anni di carcere e lavori forzati.
Roma, 25 maggio.