E’ quanto emerge dal rapporto “Io sono cultura” 2014, presentato a Roma il 16 giungo, progetto di ricerca di Unicamere e Fondazione Symbola , che approfondisce le interrelazioni tra ‘cultura e creatività’ ed economia, con “l’obiettivo di restituire riscontri quantitativi e qualitativi sul tema.” I dati incoraggiano a investire visto che l’industria culturale, o meglio, il sistema produttivo culturale (inclusa pubblica amministrazione e no profit), ha prodotto 80 miliardi di euro (il 5,7% dell’economia nazionale, e il 6,2% dell’occupazione nazionale), attivandone 134 e producendo, in totale come filiera culturale, 214 miliardi di euro(il 15,3% del valore aggiunto nazionale). L’analisi economica considera un ‘moltiplicatore’ insito nella logica di filiera per cui in Italia: “il sistema produttivo culturale vanta un moltiplicatore pari a 1,67: come dire che per un euro di valore aggiunto (nominale) prodotto da una delle attività di questo segmento, se ne attivano, mediamente, sul resto dell’economia, altri 1,67.”
Il sistema produttivo culturale ha un saldo in attivo anche per quanto riguarda le esportazioni, da ben 22 anni in crescita, ha triplicato i numeri nel corso del tempo, nel 2013 sono state il 10,7% (41,6 miliardi di euro) delle vendite complessive fuori dal confine.Quattro i settori delle attività produttive legate alla cultura e alla creatività che emergo:
1) Industrie creative: la grafica, il design, l’architettura, la comunicazione e la Produzioni di beni e servizi creative driven ossia quelli attinenti ai mondi del food, fashion e forniture.
2) Industrie culturali: film, video, l’editoria, l’industria musicale, la radio-tv, i videogiochi e software.
3) Performing arts e arti visive: rappresentazioni artistiche e\o di intrattenimento, convegni, fiere. Eventi dal vivo e beni non riproducibili (per cui meno degli altri si prestano a un modello di organizzazione di tipo industriale).
4) Patrimonio storico-artistico: musei, biblioteche, archivi, gestione di luoghi o monumenti storici
Il rapporto si arricchisce di vari schemi con i dati dettagliati, riassumendone alcuni ecco una
tabella delle imprese registrate nel settore produttivo culturale, che rappresenta il 7,3 % delle imprese complessive, in Italia:
I contributi pubblici rimangono fondamentali anche se del tutto insufficienti, anche per questo i contributi privati (consumi delle famiglie , Fondazioni e crowdfunding ) sembrano un ‘salvezza’ per il patrimonio culturale italiano, che ancor prima che valorizzato va tutelato. Così, nel 2013, sono stati raccolti 159 milioni di euro, il 6,3% in più rispetto al 2012.
La premessa che fa da incipit all’intero rapporto, già dal 2012, è che: “L’accesso da parte di semi-principianti a tecnologie estremamente potenti, a prezzi sempre più accessibili, sta cambiando progressivamente l’equilibrio dell’ordine mondiale in termini di produzione culturale e creativa”, è quindi evidente che“nell’epoca attuale, la distinzione tra produttori e utenti va scemando progressivamente. Oggi chiunque può produrre contenuti culturali”. Il nuovo scenario che si apre è quello delle cosiddette ‘comunità di pratica’ in cui i contenuti circolano liberamente, al di fuori degli scambi di mercato, mettendo di conseguenza in crisi la normativa sulla proprietà intellettuale vigente, calibrata su un modello di sviluppo industriale precedente (all’ era digitale).
Tale situazione è condivisa a livello globale naturalmente e l’Italia, in Europa si difende bene: “dal punto di vista della dimensione della produzione dell’industria creativa e culturale siamo al terzo posto in Europa, anche senza un sistema che si sia dotato di politiche volte a favorirne lo sviluppo.” In particolare ci si riferisce a alla trascuratezza della componente filiera.
E l’Europa nel mondo? E’ senz’altro in posizione difensiva , ma anche di chiusura da quanto si legge nel rapporto, fatta eccezione per Francia, Germania e Gran Bretagna “che, con le loro reti culturali (vedi Goethe Institut, Institut Frances e British Council) hanno cercato di portare avanti una politica culturale di scambio nei confronti della Cina. La ‘superpotenza culturale’ effettivamente viene dall’Asia, ma ha spostato leggermente il suo baricentro, nella Corea del sud, dove l’industria dell’intrattenimento produce oltre 45 miliardi di dollari, “Produzioni televisive, multimediale, musica pop, contenuti digitali, moda e design: non c’è un settore che non sia coinvolto da questa esplosione, conosciuta oramai in tutto il mondo come Korean Wave” . Non a caso in un solo decennio è diventato il paese leader indiscusso del suo continente, mentre la Cina rimane il maggior investitore mondiale del settore. La produzione creativa in Corea del Sud “consolida un sistema di competenze giovani e giovanissime (a tutti i livelli professionali) che sta segnando una discontinuità forte con il passato” .
L’Europa reagisce in due modi: proiettata sui temi dell’imprenditorialità creativa e culturale, ma sottovalutando le produzioni culturali con bassi livelli di fatturato, e il loro ruolo nella filiera (Europa centro-settentrionale). Oppure “ha ancora un ruolo marginale e conta ancora molto il turismo culturale”(Europa meridionale), che infatti è il maggior beneficiario della filiera.
Fonte: “Fondazione Symbola-Unioncamere, Io sono Cultura – Rapporto 2014”.
Roma, 18 giugno
Alla faccia della crisi, cresce l’industria culturale – NewsGO | NewsGO | alessandrapeluso
18 Giugno 2014 @ 14:53
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