Ciro Esposito è morto.Il tifoso napoletano che dal 3 maggio lottava contro la morte dopo essere stato ferito da un colpo di pistola prima della finale di Coppa Italia non ce l’ha fatta. Cinquanta giorni d’agonia, tra fievoli speranze, confusione da parte dei media, ed un’unica certezza: un ragazzo è morto per una partita di calcio. Temendo allora una resa dei conti fra la tifoseria partenopea e quella romanista, la famiglia ha voluto lanciare un appello: “No a violenze nel nome di Ciro”.
“Ciro”, spiega in una nota il policlinico Gemelli attraverso il suo portavoce Massimo Antonelli, direttore del centro Rianimazione “è morto per insufficienza multi organica non rispondente alle terapie mediche e di supporto alle funzioni vitale” La mamma Antonella e il papà Gianni gli sono stati accanto fino a questa mattina, quando il cuore del ragazzo ha smesso di battere.
I legali della famiglia hanno richiesto che sul corpo del ragazzo venga eseguita l’autopsia: “Chiederemo, queste le dichiarazioni dell’avvocato Damiano De Rosa – che tutti gli accertamenti burocratici e legali, quindi l’autopsia, vengano espletati nel più breve tempo possibile perché così il corpo di Ciro possa essere messo a disposizione dei familiari per il funerale. La loro è un’agonia estenuante”.
Il desiderio di Simona, la ragazza di Ciro: “Ieri sera Simona, la fidanzata di Ciro, mi ha detto: avvocato, se Ciro muore, spetta a lei farlo rivivere attraverso la giustizia. E noi giustizia cercheremo”.
La richiesta di lutto nazionale: “All’alba il cuore di Ciro si è fermato, chiediamo per il lutto nazionale per il nostro ragazzo», questa la riciesta di Angelo Pisani, secondo difensore della famiglia Esposito. Presidente della municipalità di Napoli in cui ricade il territorio di Scampia, la zona di Napoli dove Ciro viveva con la sua famiglia, ha chiesto anche che l’ultimo saluto sia dato all’interno dell’auditorium del quartiere.
Ciro ha combattuto la sua battaglia contro la morte fino all’ultimo, ridotto, lui che era un ragazzo giovane e forte, in un fuscello smagrito dopo quasi due mesi. La Zia Maria non lo ha mollato un secondo, ricoprendolo di baci. La Mamma Antonella non ha smesso di pregare anche quando un malore l’ha costretta ad allontanarsi, ma solo per un attimo, non potendo stare lontana dal figlio. Gli ha tenuto la mano e inghiottito lacrime. Poi il peggioramento costante ma inesorabile. I battiti del cuore che scendono, la pressione anche.
Ciro Esposito è rimasto ricoverato sul letto di una stanza al piano terra del reparto di Rianimazione del policlinico Gemelli: è stata la sua “casa” per 50, lunghi giorni, a partire dal quel maledetto 3 maggio quando fu raggiunto da due colpi di pistola in viale Tor di Quinto. Di lì a poco si sarebbe gocata la finale di Coppa Italia fra Napoli e Fiorentina. Ciro aveva organizzato la trasferta per vedere la squadra di Benitez insieme a quattro amici. «Nello zaino aveva il casatiello che avevo preparato io, non è mai stato un violento» ha raccontato più volte la signora Antonella Leardi, la mamma. Gli spari, l’accusa di tentato omicidio per l’ultrà della Roma, Daniele De Santis, però, hanno cambiato il destino di quel viaggio. Ieri le condizioni cliniche di Ciro sono andate peggiorando: la mamma Antonella non riusciva a trattenere le lacrime, stretta nell’abbraccio consolatorio di una suora. A farle compagnia, le lacrime della fidanzata di Ciro, Simona.
“I supporti vitali non riescono a tenere sotto controllo la funzionalità degli organi, è cosciente, ma sedato farmacologicamente” questo recitava uno degli ultimi bollettini medici. Alle 18.25 è arrivato il comunicato dal professor Massimo Antonelli, direttore del Centro di terapia intensiva che commosso ha detto «Per me Ciro è come un figlio. È in dialisi e con un’attività epatica non pienamente efficiente. Venerdì l’ultimo intervento al polmone devastato dal proiettile che ha colpito anche la spina dorsale. “La cosa assurda è che mi stanno già arrivando messaggi di condoglianze”, ha detto sconcertato lo zio Pino, fratello di papà Gianni, che come lavoro fa l’aiuto infermiere. “Giustizia per mio figlio, voglio giustizia, non vendette e altra violenza” dice disperato e anche lui con le lacrime agli occhi ad un agente della Digos papà Gianni, mentre si alterna con la moglie al capezzale di Ciro. Il tutto mentre La Questura dirama un allarme sicurezza.
“Non ce la faccio più” aveva confessato Ciro alla mamma. Ieri, padre Mariano Palumbo, cappellano dell’ospedale Cristo Re, dà l’unzione degli infermi a Ciro e si sfoga per i riflettori spenti sulla vicenda: «L’Italia è il Paese delle grandi catarsi collettive, dopo una settimana ci si dimentica di tutto», ha detto padre Mariano. Il dolore però è ancora vivo tra i familiari e gli amici del ragazzo. “Il cuore di mio fratello batte ancora, non dite che è morto” diceva un disperato Michele. “Il sindaco Marino? Non lo voglio vedere. Viene a trovarci dopo che ci ha ignorati per 50 giorni?” dice Gianni, il papà di Ciro. Marino quindi annulla la visita, mentre, Vincenzo Esposito, zio di Ciro, anche lui in lacrime: “Voglio che nessuno usi il nome di mio nipote per altre violenze. Vogliamo giustizia, vogliamo che De Santis paghi per quello che ha fatto e vogliamo anche che prefetto e questore siano rimossi. Spero che il presidente del Consiglio intervenga”. Gino Di Resta, presidente del Napoli club di Roma: “Dov’è l’amministrazione comunale di Roma? Neanche l’acqua ci hanno portato”.
Damiano De Rosa, avvocato della famiglia: “È tenuto in vita da farmaci e macchine. Speriamo in un miracolo. Ho parlato con Ciro giorni fa, è sempre stato cosciente e ricorda tutto di quel maledetto giorno”, racconta l’avvocato, che definisce Ciro «eroe, mentre scorrono le immagini di un video dove il ragazzo aiuta i tifosi del Napoli il cui pullman è stato colpito da una serie di carte. Sul mezzo, anche un bambino disabile. Ciro si è trovato lì per rispondere al grido d’aiuto di quelle persone. Previsto per metà pomeriggio l’incontro tra i genitori di Ciro e Giorgio e Cristiano Sandri, padre e fratello di Gabriele, il tifoso della Lazio ucciso da un poliziotto nel 2007 in un autogrill. L’incontro con un amico di De Santis, attimi di tensione: “sono qui per mia madre, mi dispiace per Ciro”. Nel frattempo la famiglia di Ciro ha già deciso che qualunque cosa accada il corpo di Ciro deve tornare a Napoli.
Roma, 25 giugno