È stato fermato nella notte con l’accusa di triplice omicidio, Carlo Lissi, 32enne. La tragedia di Motta Visconti si è conclusa con la confessione del marito. L’uomo ha confessato di avere ucciso la moglie e i due figli di 5 anni e 20 mesi nella loro villa nella zona residenziale di Motta Visconti, in provincia di Milano. Ha inscenato una rapina per depistare gli investigatori. Lissi è stato trasferito nel carcere di Pavia prima dell’alba.
La donna di 38 anni, Cristina Omes, e i figli sono stati trovati uccisi la notte fra sabato e domenica nella loro abitazione. Tutti e tre sono stati sgozzati e sui loro corpi sono state trovate numerose lesioni. I corpi della femminuccia e del fratellino erano rispettivamente nella cameretta e sul letto matrimoniale. Quello della donna riverso a terra in soggiorno. A fare la tragica scoperta è stato il marito, al ritorno dalla partita che aveva visto con gli amici. Il suo racconto non ha però convinto magistrati e carabinieri, che lo hanno messo sotto interrogatorio a lungo. Finché, alle 4.30 di lunedì mattina è crollato e ha confessato.
I carabinieri del Nucleo investigativo hanno cominciato a propendere per la pista familiare subito dopo le prime fasi di indagine. Il fatto stesso che nella strage non fosse stato risparmiato nemmeno il più piccolo dei due bambini rendeva meno credibile la pista esterna di una sanguinosa rapina e il mancato ritrovamento dell’arma del delitto nelle immediate vicinanze dei cadaveri rendeva difficile uno scenario di omicidio-suicidio. Lissi è stato risentito più volte, e confrontate via via le sue dichiarazioni con quelle di amici e testimoni e con i primi riscontri scientifici e medico-legali emersi dalla scena del delitto, gli investigatori dell’Arma hanno prima cominciato ad avere dubbi sulla sua versione e poi avrebbero avuto sentore di possibili gravi tensioni nella coppia.
“Siamo andati alla ricerca del movente del delitto, e quando abbiamo fermato l’uomo, dopo vari interrogatori, è venuta fuori la sua relazione extraconiugale con una collega – ha spiegato il procuratore capo di Pavia – A quel punto è crollato e ci ha detto: “Voglio il massimo della pena”. Ci ha indicato il tombino dove aveva gettato l’arma del delitto, e lì l’abbiamo ritrovato”.
Erano sposati da sei anni. La casa di via Ungaretti, su un solo piano e con un grande giardino davanti, è di proprietà della famiglia di lei e vi abitava fino a qualche tempo fa la madre della donna che però, alla morte del padre, si era ritirata in un appartamento lasciando la casa più grande a disposizione della figlia e del genero. Cristina era conosciuta da tutti perché originaria del paese: “Lavorava come impiegata alle assicurazioni Sai a Motta. Ha sempre aiutato l’oratorio – dice un residente – e prima del secondo figlio faceva la volontaria in Croce Rossa”. Il marito, invece, un economista, lavora a Milano.
Roma, 16 giugno