Roms, 13 luglio 2014 – Simone Pianetti nacque a Camerata Cornello il 7 febbraio 1858, diventò un criminale ricercato, quando individuò dei colpevoli nei suoi fallimenti, vendicandosi e uccidendoli tutti in un giorno solo.
Durante la sua giovinezza emigrò in America come tanti altri connazionali, lì iniziò a commercializzare vino insieme all’amico-socio Antonio Ferrari, gli affari si complicarono quando entrò in conflitto con la Mafia locale, alla quale si rifiutò di pagare il pizzo, rivolgendosi alla polizia, questa mossa gli costò cara, venendo perseguitato dalle ritorsioni della Mafia, dalla quale si sottrarrà scappando nel suo paese d’origine.
Tornato nella valle Brembana, ricominciò a rifarsi una vita, si sposò con Carlotta Marini, con la quale avrà sette figli e si aprì una taverna. I nuovi affari procedettero bene, sino a quando non diventò vittima di malelingue, che lo etichettarono come anarchico, anticlericale e libertino.
Così Pianetti fu costretto a chiudere per il crollo della clientela, si trasferì a San Giovanni Bianco, intraprendendo una nuova attività: si aprì un mulino elettrico, ma la musica non cambiò, la sua farina fu chiamata La farina del Diavolo, e anche lì gli affari andarono male.
Dopo qualche pensiero suicida, l’attentato del 28 giugno 1914 di Gavrilo Princip, gli diede un nuovo motivo per vivere, cioè vendicarsi delle persone che gli avevano fatto torto.
Il 13 luglio 1914, preparò la sua lista nera, imbracciò il suo fucile a tre canne e partì per la vendetta. Cominciò dal dottor Domenico Morali, poi si diresse alla ricerca del sindaco, non trovandolo uccise l’aiutante Abramo Giudici e sua figlia. La caccia all’uomo proseguì uccidendo successivamente il calzolaio Giovanni Ghilardi, poi si recò nel sagrato della chiesa parrocchiale, lì aprì il fuoco su don Camillo Filippi e il messo comunale Giovanni Giupponi. I nomi della lista erano quasi tutti depennati, non trovò l’oste Pietro Bottani, invece Caterina Milesi diventò la sua settima e ultima vittima, quest’ultima era debitrice di una certa somma verso il Pianetti.
Dopo l’eccidio personale, Pianetti si dileguò tra i boschi del monte Cancervo.
Nei giorni successivi la gente del luogo si barricò in casa per la paura, mentre le forze dell’ordine si misero sulle tracce di Pianetti, ma senza esiti positivi.
In molti si generò il pensiero che Pianetti era una specie di eroe liberatore, che aveva sgombrato il paese dall’oppressione dei poteri forti quali il parroco, il sindaco e il medico. L’esaltazione fu riportata anche dal giornale Il Secolo. Su qualche muro si inneggiava anche al vendicatore, come ad esempio “W Pianetti, ce ne vorrebbe uno in ogni paese”.
Il 31 luglio le autorità consentirono al figlio di Pianetti di incontrare il padre tra i monti, per convincerlo a tornare nel paese, ma il tentativo fu inutile, Simone gli consegnò una lettera indirizzata alla moglie, dove c’era anche scritto “Non mi troveranno mai, né vivo né morto”, e così andò, Simone Pianetti non fu mai ritrovato, la sua latitanza fu favorita anche dallo scoppio della Grande Guerra, che fece calare l’interesse nella sua ricerca.