35 anni fa veniva a mancare Vincenzo Paparelli, padre di Gabriele Paparelli, che oggi ha rilasciato un’intervista al programma I Laziali sono qua, trasmesso su ElleRadio. Aveva 33 anni quando è morto, una moglie e due figli. Tutto è successo allo stadio:Paparelli si trovava in Curva Nord quando dalla Curva Sud sono partiti tre razzi. I primi due sono finiti fuori dagli spalti e il terzo, che ha percorso 150 metri in linea retta, l’ha colpito in volto, andando a conficcarsi dentro l’occhio. Accanto a lui la moglie ha subito chiesto aiuto, ma tanti sono scappati a causa dello spavento. Un ragazzo ha provato a estrarre il razzo, ma non ci è riuscito e nel frattempo Paparelli è stato portato in ambulanza per poi essere trasportato al Santo Spirito, dove è arrivato già deceduto. Dopo un anno è stato arrestato l’autore del gesto che ha segnato una tragica pagina del calcio italiano: Giovanni Fiorillo, un diciottenne scappato il giorno stesso, che prima ha cercato di espatriare in Svizzera e poi si è costituito vinto dal rimorso.
Cos’è significato per te essere Gabriele Paparelli?
“È significato dover piangere ogni giorno il proprio papà. Ci sono stati aspetti molto brutti. Io e la mia famiglia abbiamo dovuto cambiare spesso casa per via di minacce e frasi ingiuriose. La cosa più bella è stata la dimostrazione d’affetto che il popolo laziale ci ha donato tutti giorni nel corso degli anni”.
Quando successe la tragedia tu avevi 8 anni. Che ricordo hai di tuo papà?
“Ricordo parecchie cose di lui, ci voleva molto bene. Era un uomo che lavorava molto, ma non faceva mai mancare l’affetto verso la sua famiglia. Le sue tre priorità erano: famiglia, lavoro e Lazio”.
Qual è stato il momento più bello da laziale e quello in cui ti sei più emozionato pensando a papà?
“Il momento più bello da laziale è legato allo Scudetto vinto con Cragnotti. Quello in cui mi sono emozionato di più pensando a papà è stato un Lazio-Messina di dieci anni fa. Feci un discorso in mezzo al campo e i tifosi fecero un applauso scrosciante. In quel momento sentii che mio padre era lì con me…”.
Tu hai una bambina di 2 anni e mezzo, Giulia. L’hai mai portata allo stadio?
“L’ho portata il 12 maggio scorso alla serata “Di Padre in Figlio”. Onestamente ancora non me la sento di portarla in una partita di campionato. Ogni volta vengo assalito da un misto di gioia e di paura”.
Che messaggio vorresti lanciare ai tifosi di tutta Italia?
“Lo sfottò è giusto e non deve mai mancare. Quello che dovrebbe uscire dal calcio è la violenza. Dietro il nome di mio padre c’era una famiglia che ha sofferto. Spero che, con la mia testimonianza, la gente capisca che lo stadio è un posto dove bisogna solamente tifare, non uccidere”.
28 ottobre 2014