Si pronuncia ancora la Procura di Roma in merito al caso Ettore Majorana, il fisico teorico, pupillo di Enrico Fermi, scomparso nel 1938 durante un viaggio in traghetto tra Palermo e Napoli. L’inchiesta è stata aperta nel 2011, con gli ultimi sviluppi che hanno portato i procuratori a ritenere che tra il 1955 e il 1959 fosse in Venezuela, e non che fosse deceduto, come portavano a credere ricerche precedenti.
Sono state escluse quindi le ipotesi sia di suicidio che di omicidio; si ritiene anzi probabile che lo scienziato Majorana avesse realizzato l’importanza delle sue ricerche sull’atomo e sulla fisica quantistica e che, spaventato dai risultati ad esse legate, scappò in Sud America.
In un’intervista a Rai Radio 1 il nipote del fisico nucleare, Marcello Majorana, ha dichiarato il suo scetticismo sui risultati dell’indagine “Zia Dorina, la mamma dello scienziato quando morì, alla fine degli anni ’50, scrisse nel testamento che lasciava alcune cose a Ettore per quando sarebbe tornato. Sentiva che era ancora vivo”; ma allo stesso tempo: “Ci sono state sempre molte ricerche e nessun risultato. Ricordo che quando mio padre rilasciava un’intervista sul caso, arrivavano a casa telefonate che dicevano: abbiamo visto Ettore sui monti dell’Alaska, lo abbiamo visto con gli extraterrestri, insomma segnalazioni e avvistamenti di ogni genere, ma nulla di concreto”
Al di là dell’andamento delle indagini, ci si chiede se possa essere sensato che la Procura di Roma continui ad indagare su un caso misterioso di circa settant’anni fa, o se invece potrebbe essere più costruttivo passare il testimone agli storici, che posseggono strumenti e conoscenze utili a far luce su un caso del genere.
di Maria Chiara Magnati
5 febbraio 2015