Di Bartolomei, il condottiero romano e romanista, che ha portato la Roma a vincere il tricolore, si è suicidato a 39 anni il 30 maggio 1994, a dieci anni dalla Coppa dei Campioni persa dalla Roma contro il Liverpool. È uscito sul terrazzo della sua villa a Castellabate, ha impugnato una Smith & Wesson calibro 38 e si è sparato un colpo dritto al cuore.
I motivi del suicidio (si è parlato di alcuni investimenti andati male e di un prestito che gli era stato appena rifiutato) sono diventati abbastanza chiari quando è stato trovato un biglietto in cui il calciatore spiegava il suo gesto, da ricollegarsi probabilmente alle porte chiuse che il calcio serrava di fronte a lui:
“Mi sento chiuso in un buco”.
Tra i fattori che hanno portato Di Bartolomei al suicidio anche l’indifferenza della Roma, squadra alla quale aveva dato tutto se stesso. Neanche una chiamata in tutti quegli anni o un gesto e questo, probabilmente più dei debiti, l’ha fatto scivolare in quel buco di cui si sentiva prigioniero, facendolo sentire solo anche se a Salerno aveva uno studio assicurativo e a San Marco una scuola calcio.
Nato l’8 aprile 1955, è cresciuto calcisticamente nel quartiere di Tor Marancia, per poi passare alle giovanili della Roma, con cui ha esordito a soli 17 anni. Il primo gol è arrivato l’anno dopo, stagione 1973-1974, contro il Bologna. Il suo talento è stato subito notato dall’allenatore Scopigno, ma nelle successive tre stagioni Di Bartolomei ha trovato poco spazio. Per questo la Roma ha deciso di mandarlo in prestito al Vicenza, dove è arrivato alla piena maturazione. Al ritorno a Roma la sua classe è stata sfruttata al meglio dall’allenatore Nils Liendholm, che lo posiziona davanti alla difesa.
È stato proprio in quegli anni che il suo rapporto con la Roma è diventato straordinario: Di Bartolomei ha preso per mano la sua Roma e nel 1983 l’ha guidata fino allo scudetto, il secondo della storia dei giallorossi, entrando nel mito insieme a Falcao e Bruno Conti, considerati eroi della squadra.
Il declino è iniziato l’anno dopo, con i contrasti con i compagni, tra cui Graziani, con cui c’è sempre stato rispetto, ma mai un rapporto di amicizia e con la sconfitta nella Coppa dei Campioni. Con l’arrivo in panchina di Sven Goran Erikson è stato ceduto al Milan, ma lì non si è mai ambientato, soprattutto perché era più forte la volontà di chiudere la carriera nella Roma, un sogno mai realizzato. Nel 1990 l’addio alla carriera calcistica dopo aver riportato la Salernitana in serie B.
In occasione dei Mondiali Italia ’90 è stato opinionista della RAI. Da lì è iniziato l’isolamento di Di Bartolomei, che negli anni ha continuato a provare dolore, lo stesso dolore che l’ha spinto a compiere quel gesto estremo.
Con la sua morte sono arrivate anche le prime dediche, prima all’uomo e poi al calciatore: nel 2010 la sua vita è stata raccontata nel libro “L’ultima partita” di Giovanni Bianconi e Andrea Salerno e nel 2011 viene girato un documentario, “Undici metri”, di Francesco Del Grosso. Nel 2012 infine, il campo A del centro sportivo Fulvio Bernardini a Trigoria è stato intitolato alla sua memoria.
La scomparsa del “capitano” giallorosso ha ispirato anche una canzone di Antonello Venditti, che gli ha dedicato la canzone “Tradimento e perdono”, tratta dal fortunato album “Dalla pelle al cuore”:
“…Se ci fosse più amore per il campione oggi saresti qui
Ricordati di me mio capitano
Cancella la pistola dalla mano
Tradimento e perdono fanno nascere un uomo
Ora rinasci tu…”
Di Bartolomei: l’indimenticabile capitano morto suicida il 30 maggio 1994 | ITMTelevision
30 Maggio 2014 @ 06:53
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