Era passata da poco l’una di notte quando un’esplosione squarciò il silenzio di via dei Georgofili, Firenze. A causarla fu l’attentato dinamitardo messo in atto dalla mafia, precisamente da alcuni mafiosi di Brancaccio e Corso dei Mille (Gaspare Spatuzza e Francesco Giuliano), che la sera del 26 maggio portarono in un garage la Fiat Fiorino rubata e la cari caricano di esplosivo prima di parcheggiarla in via dei Georgofili, proprio vicino alla celebre Galleria degli Uffizi. Molti i palazzi danneggiati, tra questi la Galleria degli Uffizi (il 25% delle opere – come riportato dal sito www.memoria.san.beniculturali.it – risultò danneggiata: tre dipinti non recuperabili e 30 da restaurare), la Chiesa dei Santi Stefano e Cecilia, l’Istituto e Museo di Storia della Scienza e Palazzo Vecchio. Crollò la Torre delle Pulci e ci furono cinque vittime: Angela Fiume (36 anni), custode dell’Accademia dei Georgofili, che abitava nella Torre, insieme alle due figlie Caterina e Nadia (50 giorni la prima e 9 anni la seconda) e al marito Fabrizio (39 anni). A causa dell’incendio di un palazzo morì anche Dario Capolicchio, studente di architettura di 22 anni.
Inizialmente si pensò che a provocare la strage di via dei Georgofili fosse stata una perdita di gas, ma solo quando i vigili individuarono un cratere profondo due metri circa e successivamente la Fiat sparì ogni dubbio: si trattava di un attentato di stampo mafioso. E infatti era proprio l’epoca in cui si era entrati nel vivo della stagione delle inchieste “mani pulite”, quella stagione caratterizzata dall’instabilità delle istituzioni e dai tanti attentati che portarono alla morte diverse personalità che lottavano contro Cosa Nostra.
Nel 1998 Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Francesco Giuliano, Giorgio Pizzo, Gioacchino Calabrò, Vincenzo Ferro, Pietro Carra e Antonino Mangano vennero riconosciuti come esecutori materiali della strage di via dei Georgofili e nel 2008 Spatuzza iniziò a collaborare e grazie alle sue dichiarazioni nel 2011 è stato condannato all’ergastolo Francesco Tavaglia, boss della famiglia di Corso dei Mille, mentre Cosimo D’Amato, pescatore siciliano, è stato condannato all’ergastolo perché accusato di aver fornito il tritolo utilizzato per le esplosioni in diverse città.