Walter Tobagi è stato un giornalista e scrittore italiano nato a Spoleto il 18 marzo 1947 e morto a Milano il 28 maggio 1980. Aveva circa otto anni quando si trasferì nel capoluogo lombardo insieme la famiglia, che seguì il padre ferroviere. Lì frequentò il liceo Parini e ben presto divenne capo redattore della Zanzara, dove si occupò di tutti quegli argomenti che in futuro caratterizzarono la sua carriera. Finiti gli studi e preso il diploma, Walter Tobagi iniziò a lavorare per l’Avanti e in seguito per l’Avvenire. In entrambe le redazioni, nonostante nella prima rimase solo pochi mesi, trattò diversì temi, ma si concentrò soprattutto sui temi sociali, sulla politica e sul movimento sindacale, senza però tralasciare i temi economici. Gli attentanti e gli omicidi di Feltrinelli e Calabresi lo spinsero a dedicarsi al tema del terrorismo.
E proprio il terrorismo lo portò a seguire da vicino – come giornalista del Corriere della Sera – le vicende degli anni di piombo. Scrisse Vivere e morire da giudice a Milano, in cui raccontò la storia del sostituto procuratore della Repubblica Emilio Alessandrini, morto assassinato a 36 in un vero e proprio agguato e seguì diversi processi. E negli anni continuò a distinguersi per il suo metodo molto scrupoloso, che non lasciava nulla al caso e nulla di ipotizzabile. Lui analizzava i fatti e lasciava da parte ogni emotività. Giampaolo Pansa di lui disse:
“Tobagi sul tema del terrorismo non ha mai strillato. Però, pur nello sforzo di capire le retrovie e di non confondere i capi con i gregari era un avversario rigoroso. Il terrorismo era tutto il contrario della sua cristianità e del suo socialismo. Aveva capito che si trattava del tarlo più pericoloso per questo paese. E aveva capito che i terroristi giocavano per il re di Prussia. Tobagi sapeva che il terrorismo poteva annientare la nostra democrazia. Dunque, egli aveva capito più degli altri: era divenuto un obiettivo, soprattutto perché era stato capace di mettere la mano nella nuvola nera”.
Nel 1978 divenne presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti consigliere della Federazione nazionale della stampa. Il 27 maggio 1980, il giorno prima della morte, Walter Tobagi partecipò all’incontro che si tenne al Circolo della stampa di Milano sul cosiddetto caso Isman, e per molto lui parlò della libertà di stampa e della responsabilità del giornalista davanti alle azioni dei terroristi.
Il giorno dopo, il 28 maggio, Walter Tomagi uscì dalla sua abitazione, situata in via Solari, intorno alle 11, inconsapevole di essere seguito da sei ragazzi. Arrivato a via Salaiano fu colpito mortalmente da cinque colpi di pistola che lo raggiunsero alle gambe, alla schiena, alla spalla e sotto l’orecchio sinistro. Lasciò così la sua famiglia, composta dalla moglie Mariastella e dai figli Luca e Benedetta (appena 7 e 3 anni). Quello stesso giorno le Brigate Rosse rivendicarono l’omicidio chiamando La Repubblica e attraverso radio Blackout. Due giorni dopo i funerali a Milano e il trasferimento della salma nel Cimitero di Verro Maggiore a Legnano.
Nei mesi successivi gli assassini di Walter Tobagi furono individuati ed arrestati: si trattava di di Marco Barbone (figlio di un dirigente Rcs), leader della neonata Brigata XXVIII Marzo e assassino materiale del giornalista. Proprio lui, subito dopo l’arresto, collaborò e segnalò gli altri componenti dell’organizzazione (tra i ragazzi del commando Paolo Morandini, figlio del critico cinematografico, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano). Divenne così un pentito e grazie alla collaborazione, che portò allo smantellamento della Brigata e all’incarcerazione di oltre 100 sospetti terroristi appartenenti alla sinistra, uscì di prigione poco dopo la fine del processo.