Pochi minuti prima delle 17:00 una forte esplosione in via D’Amelio scosse l’intera città di Palermo. Una Fiat 126 imbottita di tritolo sotto casa della madre del giudice Borsellino (qui la biografia) fu azionata, uccidendo oltre al giudice anche la sua scorta, composta da Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina. L’unico a sopravvivere fu Antonino Vullo, che al momento dell’esplosione stava parcheggiando un’auto della scorta.
Quando arrivarono i soccorsi lo scenario che gli si presentò davanti lasciò ben poche speranze: le fiamme erano ovunque e i corpi del giudice Borsellino e degli agenti erano ormai senza vita. Al funerale degli agenti l’arrivo di alcune cariche dello Stato causò da subito il forte disappunto della folla, che presa dalla rabbia superò la barriera dei 4.000 agenti tenuti a mantenere l’ordine, e iniziò a urlare “Fuori la mafia dallo Stato“.
Al funerale del giudice, voluto in forma privata dalla moglie, presero parte circa 10.000 persone. Borsellino è sempre stato consapevole di essere nel mirino di Cosa Nostra, tanto che in un’intervista rilasciata a Lamberto Sposini parlò con estrema lucidità della sua condizione di condannato a morte.
A pronunciare l’orazione funebre fu Antonino Caponnetto, che affermò:
“Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi“.
(Archivio Repubblica)
Caponnetto volle sottolineare che via D’Amelio era considerata pericolosa perché molto stretta e proprio per questo il giudice Borsellino era arrivato a chiedere alle autorità di vietare il parcheggio davanti all’abitazione, anche se tale richiesta non trovò mai risposte positive.
L’episodio segnò l’inizio di un forte movimento di lotta alla mafia, che coinvolse in particolare modo i giovani. Nel 2007 Salvatore Borsellino ha una lettera indirizzata all’ex Ministro dell’Interno Mancino, in cui ha ipotizzato che l’allora Ministro fosse a conoscenza dell’attentato da sempre:
“Chiedo al senatore Nicola Mancino, del quale ricordo negli anni immediatamente successivi al 1992 una lacrima spremuta a forza durante una commemorazione di Paolo a Palermo, di sforzare la memoria per raccontarci di che cosa si parlò nell’incontro con Paolo nei giorni immediatamente precedenti alla sua morte. O spiegarci perché, dopo avere telefonato a mio fratello per incontrarlo mentre stava interrogando Gaspare Mutolo, a sole 48 ore dalla strage, gli fece invece incontrare il capo della Polizia Parisi e il dottor Contrada, incontro dal quale Paolo uscì sconvolto tanto, come raccontò lo stesso Mutolo, da tenere in mano due sigarette accese contemporaneamente […]. In quel colloquio si trova sicuramente la chiave della sua morte e della strage di Via D’Amelio”.
(polisblog.it)
L’ex Ministro in sua difesa ha detto di non ricordare di aver incontrato Borsellino nel luglio del 1992, mettendo in dubbio le parole del pentito Mutolo. Salvatore Borsellino ha risposto così:
“In merito alla persistenza delle lacune di memoria del Sen. Mancino sull’incontro con Paolo Borsellino del 1º luglio 1992, evidenti dalla sua risposta alle mie dichiarazioni e preoccupanti per chi è stato chiamato alla vicepresidenza del CSM, ritengo mio dovere fargli notare quanto segue. Se è vero che le dichiarazioni di un pentito come Gaspare Mutolo non possano assumere da solo valore probatorio se non suffragate da solidi riscontri è anche vero che di riscontro ne esiste almeno uno, e incontrovertibile, dato che è siglato dallo stesso Paolo Borsellino. Nella sua seconda agenda, quella grigia in possesso dei suoi familiari, che, essendo stata lasciata a casa da Paolo il 19 luglio non ha potuto essere sottratta come quella rossa, Paolo ha annotato: 1º luglio ore 19:30: Mancino. In quanto alla credibilità dello stesso Mutolo, il quale riferisce la frase di Paolo durante l’interrogatorio: ‘devo smettere perché mi ha chiamato il Ministro, manco mezz’ora e torno ’ […], devo ricordare al Sen. Mancino che è proprio grazie alle dichiarazioni di Gaspare Mutolo che il dott. Contrada, funzionario del SISDE, ha potuto essere condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione. Inoltre lo stesso Vittorio Aliquò ha dichiarato di aver accompagnato Paolo fino alla soglia dell’ufficio di Mancino, ed è impossibile credere che lo stesso non possa ricordare di avere incontrato non un qualsiasi magistrato tra i tanti che quel giorno venivano a complimentarsi per la sua nomina, ma un giudice ad estremo rischio di vita che in quei giorni era al centro dell’attenzione di tutti gli italiani”.
(19luglio1992.com)
Nel 2008 il pentito Gaspare Spatuzza ha fatto chiarezza su alcuni punti, facendo emergere le responsabilità del clan mafioso Brancaccio, che l’ha incaricato di rubare la Fiat 126 poi imbottita con il tritolo. Nel 2009 Totò Riina ha dichiarato di non avere nessun legame con la strage di Via D’Amelio, dicendo al suo legale di far sapere che
“L’hanno ammazzato loro. Lo può dire tranquillamente a tutti, anche ai giornalisti. Io sono stanco di fare il parafulmine d’Italia”.
(ilmessaggero.it)
Il Gip Alessandra Bonaventura Giunta, ha invece affermato l’esistenza della trattativa Stato – mafia, che ha portato all’attentato di Via D’Amelio, con la conseguente eliminazione del giudice, visto come un ostacolo.