Era il 17 ottobre 1797 quando Napoleone Bonaparte e Johann Ludwig Josef von Cobenzl, il primo in qualità di comandante in capo dell’Armata d’Italia e il secondo in rappresentanza dell’Austria, firmarono il trattato di Campoformio (versione veneta di Campofòrmido, piccolo borgo nei pressi di Udine). Campoformio era il luogo in cui avrebbero dovuto incontrarsi le due parti per firmare, ma in realtà il documento fu siglato a villa Manin.
Questo trattato stabilì la pace gli austriaci e i francesi guidati da Napoleone che, grazie alle vittorie nella cosiddetta campagna d’Italia (operazione militare avvenuta durante la guerra della prima coalizione combattuta dalla Francia contro le potenze europee dell’Antico Regime), era pronto a puntare Vienna. A quel punto l’Austria chiese l’armistizio e dopo un preliminare di pace firmato a Leoben, quel 17 ottobre si mise fine al conflitto. Con la firma del trattato di Campoformio si stabilì una nuova situazione: la Francia cedette la Repubblica di Venezia (che perse la sua indipendenza), l’Istria e la Dalmazia, ma si vide riconosciute la Repubblica Cisalpina e quella Ligure e occupò le Isole Ionie e i Paesi Bassi.
La firma del trattato di Campoformio generò diverse proteste e la cessione di Venezia fu vista dai patrioti come un vero e proprio atto di tradimento di Napoleone e un esempio è dato dalle parole di Ugo Foscolo, che ne “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” scrisse proprio del tradimento di Napoleone:
Da’ colli Euganei, 11 Ottobre 1797
“Il sacrificio della patria è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho obbedito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da’ pochi uomini, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri”.