Roma, tra terrorismo, Kalašnikov giocattolo e psicosi da attentato: due finti Ak-47 rinvenuti all’interno di un suv fanno scattare l’allarme nella Capitale a pochi giorni dalla strage di Parigi
Una parte della politica e dell’opinione pubblica è favorevole alla guerra, ad andare lì con le proprie forze armate per bombardare, distruggere e annientare l’Isis. “Bisogna essere implacabili“, è il monito. La psicosi da attentato, due semplici armi giocattolo, repliche fedeli dei Kalašnikov utilizzati per uccidere a Parigi, ha accarezzato proprio nella giornata di ieri la città di Roma, confermando più che mai quanto vulnerabile sia l’occidente tanto odiato dai fondamentalisti islamici. In corso Vittorio Emanuele la paura si è tagliata con il coltello, aprendo un’ulteriore breccia all’interno di una sicurezza di cui sentiamo sempre meno la percezione.
Ma c’è un però:
In questa guerra asimmetrica, il nemico, i jihadisti, non abita in un luogo in particolare; il nemico abita a casa nostra, è cresciuto frequentando e studiando nel nostro paese. L’integrazione ci ha uniti, il multiculturalismo ci ha avvicinato gli uni agli altri e, insieme, confusi, permettendo alla metà oscura di nascondersi, proliferare e attaccarci. La tecnica silente di certi attacchi, la loro imprevedibilità; li abbiamo resi invisibili più di quanto avremmo mai pensato, mentre dove non è stato possibile li abbiamo armati, vendendogli direttamente le armi.
Quindi come se ne esce?
Con la mentalità, raschiando via la ruggine di un vecchio colonialismo legato alle guerre in nome di un pozzo di petrolio. Per mettere fine alle barbarie a cui stiamo assistendo dobbiamo eliminare il presupposto, e magari nel tempo restituire ai diretti interessati il maltolto. E se quello che abbiamo preso non può essere restituito, almeno finiamola qui. In nome della democrazia abbiamo sgraffignato, allungato le nostre mani su ricchezze che non ci appartenevano e invaso paesi. Ma se guerra deve essere in ogni caso, allora prepariamoci perché questa diventi interminabile.