All’alba del 16 dicembre 1631 iniziò l’eruzione del Vesuvio. Il fenomeno fu preceduto da diversi eventi che si verificarono nei mesi antecedenti: da piccoli terremoti, anche nella giornata del 15 dicembre, a prosciugamento delle fonti, fino al rigonfiamento del suolo. Alle 7 di mattina, poi, si aprì una bocca laterale sul versante Sud-Est e si formò una colonna eruttiva che arrivò a un’altezza tra i 13 e i 19 chilometri.
L’eruzione del Vesuvio, classificata come sub-pliniana (esplosione iniziale violenta a tal punto da svuotare quasi tutta la camera magmatica), avvenne dopo un periodo di inattività durato circa 130 anni e fu talmente violenta che i boati vennero avvertiti anche in altre regioni come l’Abruzzo, la Calabria, le Marche, la Puglia e l’Umbria.
L’eruzione del Vesuvio causò diversi danni: Ercolano (Resina oggi), Portici, Torre del Greco e Torre Annunziata andarono distrutte quasi completamente e ci furono più di 3mila vittime. Nella zona del Monte Somma subirono gravi danni Ottajano (oggi Ottaviano), dove persero la vita circa mille persone, e Somma Vesuviana. Gravi perdite anche per quanto riguarda il bestiame: tra portici e Torre del Greco la lava fuoriuscita uccise molti più animali che uomini e in tutto ne morirono oltre seimila.
Giuliani Gianbernardino nel “Trattato del Monte Vesuvio e de’ suoi incendi” scrisse:
“Onde cominciando dico, che l’anno della nostra Salute 1631, il sedicesimo del mese Dicembre (…), a viva forza di gagliardissimi tremuoti, che in numero ben ispesso precedettero quella notte, si aprì il Monte Vesuvio, in quel luogo a punto della parte , che guarda il mare, che comunemente dà paesani viene detto Ciammella (…), assai più sotto dell’antica voragine, che sta sopra la cima di questa parte di Monte (si tratta della caldera del Somma-Vesuvio). Dalla cui apertura, cominciato tostoi ad uscire un fumo assai denso, e bianco, in breve tempo se ne formò un gran albero, somigliante in tutto ad unn alto e spazioso pino: il cui piede, o groso tronco era però in quella guisa ritorto, che noi hora le colonne veggiamo del maggiore Altare della Real Chiesa di Santa Chiara (…). Ma non molto stette, che cangiando forma, divenne una smisurata Nuvola la quale non già bianca come dianzi, ma alquanto nera, inalzandosi a meraviglia, e trapassando di gran lunga, con infinita veemenza, la prima regione dell’aria, andava figurando mostruose chimere (…) Et oppostasi poi a’ raggi del Sole, che viapiù che mai splendenti, e chiari, s’eran fatti in quel mattino vedere, cagionò una oscurità sì grande, che a tutti parve sì lucido il giorno, essere in una tenebrosa notte cangiato. Poscia cominciò a sentirsi un grandissimo fremito, e rumore, a guisa di quello de’ tuoni, e tra quella gran machina di nero, e calignoso fumo, vedevansi fiammeggiando folgorare, e folgorando serpeggiare, con tortuose striscie, fiamme di fuoco in tanta spessezza, e in maniera agitale da quella gran forza di gagliardissima esalazione, che pareva volere esse à quel modo non pure guerreggiar col Cielo, ma fulminare, e subissar la Terra“.
“Tutto quel lungo spazio di mare, ch’è dalla prima Torre di guardia di Resina, sin passata la Torre dell’Annunziata, si vide in un tratto, nella larghezza dove d’un miglio, ove di poco meno, maravigliosamente ripieno della materia uscita dalla voragine del Monte, e di quella ancora, che con l’empito lor grande i già detti diabolici torrenti (l’autore si riferisce ai fiumi che attraversavano la pianura in quel tempo) si menavano innanzi di grosse pietre, d’alberi svelti, di case abbattute, d’uomini, e d’animali forti, e d’altro, quantunque in alcuna parte non vi si scorgesse il fondo, e in altra molto profondo fosse. Di maniera che di que’ tanti scogli, e così spessi, ch’altri dianzi per quella riviera assai dentro mare dilettevolmente mirava; ora dentro terra molto lungi dal lido solo alcune punte ammaramente riguarda, standosene tutto il resto in quelle ceneri sommerso (…)“