Ilaria Cucchi pubblica la foto di uno dei carabinieri indagati: “Volevo farmi del male, volevo vedere le facce di coloro che si sono vantati di aver pestato mio fratello”
È bastata la pubblicazione della foto di uno dei carabinieri indagati nel processo riguardante la morte del fratello per far finire al centro dell’attenzione Ilaria Cucchi, che a quanto pare verrà denunciata dal carabiniere stesso a causa delle minacce ricevute. Una foto che ritrae l’uomo in costume da bagno sugli scogli e accompagnata da una didascalia, la seguente:
“Volevo farmi del male, volevo vedere le facce di coloro che si sono vantati di aver pestato mio fratello, coloro che si sono divertiti a farlo. Le facce di coloro che lo hanno ucciso. Ora questa foto è stata tolta dalla pagina. Si vergogna? Fa bene”.
Immediata la polemica. C’è chi si è schierata al suo fianco e chi ha deciso di “condannare” l’episodio, reputandolo un passo falso perché “i processi si fanno in tribunale”. E Ilaria Cucchi ha subito voluto sottolineare di non tollerare la violenza, ha poi spiegato dia ver pubblicato la foto in questione perché “Stefano era la metà di questa persona” e ha pubblicato un altro post sulla pagina Facebook:
“Sto ricevendo numerose telefonate anche di giornalisti su questa fotografia. La prima domanda che mi pongo è: se fosse stato un comune mortale, cioè non una persona in divisa, non ci si sarebbe posto alcun problema. La cronaca nera e piena di ‘mostri’ rei o presunti tali di efferati ed orrendi delitti sbattuti in prima pagina. Sto passando le mie giornate ascoltando quelle intercettazioni. Leggo sul sito del Fatto Quotidiano le infamanti ricostruzioni del mar. Mandolini che si permette di offendere me e la mia famiglia raccontando le sue presunte verità dopo aver taciuto per sei anni e dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere di fronte ai pubblici ministeri.
Non sono ipocrita. Questa foto non è uno scatto rubato in violazione della privacy del soggetto ritratto ma è stata addirittura postata dallo stesso sui social network. Questa foto io non l’avrei mai pubblicata ma l’ho fatto solo perché la ritengo e la vedo perfettamente coerente col contenuto dei dialoghi intercettati e con gli atteggiamenti tenuti fino ad oggi dai protagonisti. Per sei anni si è fatto il processo a Stefano e a noi membri della sua famiglia.
Il mar. Mandolini incurante di quanto riferito sotto giuramento ai giudici sei anni fa e non curandosi nemmeno della incoerente scelta di non rispondere ai magistrati ha avviato un nuovo processo a Stefano e a noi, che abilmente sarà di una violenza direttamente proporzionale alla quantità di prove raccolte contro di loro dai magistrati. E quindi io credo che non mi debba sentire in imbarazzo se diventeranno pubblici anche i volti e le personalità di coloro che non solo hanno pestato Stefano ma pare se ne siamo addirittura vantati ed abbiamo addirittura detto di essersi divertiti. Difronte al possibile imbarazzo che qualcuno possa provare pensando che persone come queste possano ancora indossare la prestigiosa divisa dell’arma dei carabinieri io rispondo che sono assolutamente d’accordo e condivido assolutamente questo imbarazzo. Ma non è un problema o una responsabilità di Stefano Cucchi o della sua famiglia”.
Poi Ilaria Cucchi ha concluso così:
“Non è stata una scelta di Stefano Cucchi quella di subire un ‘violentissimo pestaggio’, come lo hanno definito i magistrati, per poi morirne. Non è stata una scelta della famiglia Cucchi quella di essere processata insieme al loro caro per sei anni. Quella di avere invece pestato Stefano è stata una scelta degli autori del pestaggio. Quella di nascondere questo pestaggio e di lasciare che venissero processato altri al loro posto è stata una scelta di altri. Così come quella di farsi fotografare in quelle condizioni e di pubblicarla sulla propria pagina Facebook è stata una scelta del soggetto ritratto. Io credo che sia ora che ciascuno sia chiamato ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Accollandosene anche le conseguenze. E il fatto che questo qualcuno indossi una divisa lo considero un aggravante non certo un attenuante o tanto meno una giustificazione”.