Era il 12 febbraio 1944 quando il piroscafo Oria naufragò. Costruito nei cantieri Osbourne, Graham & Co, e varato nel 1920, il piroscafo norvegese di 2000 tonnellate durante la seconda guerra mondiale venne impiegato in Nord Africa, poi fu requisito dalla Francia di Vichy e ribattezzata Sainte Julienne e, nel 1942, tornò ai legittimi proprietari e riprese il suo nome, Oria. Verso la fine del 1943 i tedeschi decisero di impiegarlo per il trasporto dei prigionieri italiani che dopo l’Armistizio dell’8 settembre si erano rifiutati di aderire al Nazismo e alla Repubblica Sociale Italiana.
Nel pomeriggio dell’11 febbraio 1944 il piroscafo Oria partì da Rodi per il Pireo con a bordo 4046 prigionieri, 90 tedeschi di guardia e l’equipaggio norvegese. Il giorno successivo, il 12 febbraio, una tempesta causò l’affondamento presso Capo Sunio, un promontorio situato sulla punta meridionale dell’Attica in Grecia. Il piroscafo iniziò a sbandare e a imbarcare acqua a causa di mancanza di bordo libero e per le migliaia di persone a bordo non ci fu via di fuga.
Le condizioni meteo non favorirono l’arrivo dei soccorsi e, infatti, si salvarono meno di 50 persone, di cui 37 italiani, 6 tedeschi, 5 uomini dell’equipaggio e un greco.
Ci vollero solo pochi minuti e la tragedia fu completa, ma per anni, nonostante le testimonianze e nonostante si sapesse la verità, quanto accaduto fu ignorato.