I moti del 1820 e del 1821 scoppiarono in alcuni Stati caratterizzati dalla presenza di regimi assolutisti. A dare il via alle insurrezioni fu la Spagna e in seguito l’esempio fu seguito anche in altri paesi, tra cui l’Italia, che vide protagonista del malcontento il Regno delle Due Sicilie. Ma anche il Nord escogitava un modo per liberare il territorio dalla presenza straniera e, infatti, in Piemonte, borghesi e liberali erano pronti a lanciare una campagna militare guidata da Vittorio Emanuele I di Savoia, re del Regno di Sardegna, che avrebbe dovuto concedere la costituzione.
Le speranze dei carbonari ebbero vita breve dato che il re operò nella direzione opposta e tenne sotto stretto controllo i territori del regno da lui governato. A quel punto restava solo una persona alla quale appellarsi: Carlo Alberto di Savoia. Il principe incontrò più volte Santorre di Santa Rosa, uno dei patrioti e rivoluzionari di maggiore spicco del tempo, e con lui stabilì quando e come sarebbero partiti i moti piemontesi. I rivoluzionari, nell’incontro del 6 marzo 1821, percepirono qualche dubbio, ma Carlo Alberto confermò il proprio appoggio e questo diede il via libera all’operazione: il 10 marzo ad Alessandria sarebbero scoppiati i moti piemontesi.
Fu proprio in quell’occasione che che venne issato il tricolore per la prima volta e ad Alessandria seguirono altre città, tra cui il capoluogo, Torino. Il re abdicò in favore di Carlo Felice e data la sua assenza fu Carlo Alberto a sostituirlo. Lui concesse l’amnistia agli insorti e la costituzione, ma il trionfo – che contagiò anche Manzoni, il quale scrisse l’ode “Marzo 1821 ” – durò poco dato che Carlo Felice lo allontanò da Torino e gli insorti si ritrovarono con un pugno di mosche in mano. I sogni di gloria si infransero nel giro di pochi mesi e per il trionfo definitivo fu necessario aspettare ancora diversi decadi.