Nato il 10 agosto 1810 a Torino, Camillo Benso, nome completo Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, conte di Cavour, di Cellarengo e di Isolabella, sin da giovane si interessò alla vita militare, che lasciò per dedicarsi ad altri interessi personali, come la politica. A 22 anni divenne sindaco di Grinzane e negli anni a seguire viaggiò in Europa per studiare lo sviluppo economico delle altre nazioni. Divenne un vero uomo d’affari, trasformò la tenuta del padre in un’azienda e portò avanti la sua attività commerciale (miglioramenti nei settore dell’allevamento, delle macchine agricole e dei concimi), che lo rese uno degli uomini più ricchi del Piemonte. Fu uno dei fondatori della Banca di Torino e l’Associazione agraria, ma questo non lo portò mai a distogliere l’attenzione dalla politica, campo che approfondì grazie ai diversi viaggi nelle Capitali del vecchio continente e attraverso gli studi.
Nel 1947, grazie a una maggiore libertà di stampa, Cavour fondò “Il Risorgimento” insieme a Cesare Balbo e fu quello a dare il via al suo impegno politico. Da subito affermò la necessità di una costituzione e quando fu promulgato lo Statuto albertino lui fu uno dei pochi a non dirsi deluso. Con le elezioni del 1848 entrò in Parlamento e lui prese posto nei banchi di destra, ma staccandosi dalle correnti estremiste che andavano formandosi. Combatté le forze radicali genovesi e lombarde perché fedele agli interessi piemontesi e ben presto divenne una delle figure più importanti, soprattutto perché riuscì a mettersi in mostra in diverse occasioni, come nell’operazione che portò la Banca di Genova a fondersi con quella del Piemonte, dando vita alla Banca Nazionale degli Stati Sardi. Inoltre, si impegnò affinché lo Stato si liberasse dall’influenza ecclesiastica e la promulgazione delle leggi Siccardi causò non pochi problemi con la Santa Sede, che si vedeva abolire i privilegi all’intero del Regno di Sardegna.
A metà dell’Ottocento Cavour divenne ministro dell’Agricoltura e del commercio, poi occupò la carica di ministro delle Finanze e, infine presidente del Consiglio (le ultime due cariche le mantenne contemporaneamente e diede vita a quello che è detto il Grande Ministero, sotto il quale incrementò l’attività economica). Il suo governo effettuò molti investimenti nel settore ferroviario, ma si inimicò la sinistra quando, per placare le rivolte, fece arrestare alcuni mazziniani. Con l’intervento nella guerra di Cremea fece sì che la questione italiana venisse discussa durante il Congresso di Parigi del 1856 e diventasse, per la prima volta, un problema europeo.
Nel frattempo l’economia migliorò, ma il consenso tra la gente diminuì e anche la stampa liberale lo attaccò. Forte degli accordi con la Francia, cercò di provocare l’Austria, ma l’armistizio che portò all’annessione della sola Lombardia non gli sembrò giusto e lo portò a dare le dimissioni il 12 luglio 1859. Nel gennaio del 1860 tornò al governo e, nonostante non fosse sicuro dell’operazione, appoggiò la spedizione dei Mille. Arrivati al novembre di quell’anno, il Regno di Sardegna annesse anche le Marche, l’Umbria e il Regno delle due Sicilie.
Le prime elezioni per il Parlamento del Regno d’Italia si tennero dal 27 gennaio al 3 febbraio e lui il 22 marzo successivo venne confermato come presidente del Consiglio. Ma il sogno di un’Italia interamente unita lui non visse dato che il 29 maggio 1861 ebbe un malore dal quale non si riprese. Morì il 6 giugno 1861 dopo aver ricevuto l’estrema unzione.