Il 7 giugno 1914, ad Ancona, ebbe inizio la Settimana Rossa, un’insurrezione che in seguito si sviluppò nel resto della regione, in Romagna, in Toscana e altri luoghi dell’Italia. Era la vigilia del primo conflitto mondiale quando si temé che nello stivale potesse andare in scena una vera e propria rivoluzione.
Tutto iniziò durante la “Festa dello Statuto” durante la quale si celebrava la concessione dello Statuto Albertino e che scatenò manifestazioni indette da socialisti, repubblicani, anarchici e sindacalisti. Antonio Salandra, al tempo presidente del Consiglio, decise di proibirle per paura che la situazione degenerasse e per questo ad Ancona, dov’era stato convocato un comizio antimilitarista in segno di protesta nei confronti della guerra libica, si decise di riunirsi nel tardo pomeriggio presso la sede del partito repubblicano e non all’aperto.
Tuttavia, al termine della riunione (parteciparono circa 600 persone) le forze dell’ordine circondare le persone nei pressi dell’edificio per evitare che potessero disturbare il concerto della banda militare che si stava tenendo in piazza e, dopo degli avvisi, iniziarono ad attaccare e aprirono il fuoco. Rimasero uccise tre persone: Antonio Casaccia, Nello Budini e Attilio Giambrognoni. Per i primi due si fece un tentativo disperato in ospedale, il terzo, invece, morì sul colpo. Furono cinque i feriti tra i civili e 17 tra i carabinieri.
Quanto avvenuto provocò indignazione nella altre città italiane, dove la notizia arrivò in breve tempo, e fu così che si arrivò alla proclamazione dello sciopero generale in tutta Italia, ma dopo una settimana la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) decise di porre fine alla protesta e l’insurrezione arrivò a termine.