Il massacro di Pontelandolfo e Casalduni si consumò a pochi giorni di distanza dalla strage di Casalduni e fu l’atto con cui l’esercito italiano rispose all’attacco che portò alla morte di circa quaranta soldati uccisi dai briganti e dal popolo.
La rappresaglia fu affidata al Colonnello Pier Eleonoro Negri e al maggiore Melagari, che guidarono i reparti diretti a Pontelandolfo e Casalduni, dove giunsero alle prime luci del 14 agosto. Mentre Casalduni fu trovato quasi disabitato, il secondo paese fu assaltato: prima furono saccheggiate le case, poi furono appiccati i roghi e la gente alla ricerca di una via di fuga dalle fiamme fu uccisa. Uomini fucilati e donne torturate, nonostante fosse dato l’ordine di risparmiare loro, i bambini e gli inermi.
Quanto avvenuto fu anche descritto da Carlo Margolfo, uno dei soldati che partecipò al massacro:
“Al mattino del giorno 14 (agosto) riceviamo l’ordine superiore di entrare a Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno le donne e gli infermi (ma molte donne perirono) ed incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava; indi il soldato saccheggiava, ed infine ne abbiamo dato l’incendio al paese. Non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte era di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case. Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava…Casalduni fu l’obiettivo del maggiore Melegari. I pochi che erano rimasti si chiusero in casa, ed i bersaglieri corsero per vie e vicoli, sfondarono le porte. Chi usciva di casa veniva colpito con le baionette, chi scappava veniva preso a fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano portate fuori le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano gli zaini, il fuoco crepitava”.