Non ce l’ho con i 5 stelle e non ce l’ho in particolar modo con Virginia Raggi. In tempi non sospetti, prima ancora del loro insediamento a Roma, ho criticato e non poco pure l’ex sindaco Ignazio Marino. Per me parlare di Pd, 5 stelle o Fratelli d’Italia non fa differenza.
Nel caso specifico, però, ultimamente ho scritto molto circa i 5 stelle, soprattutto in relazione alle enormi aspettative che gli elettori hanno riposto nel loro movimento. Un movimento che fin da subito ci ha promesso un ritorno alla legalità e una rottura con la vecchia e malandata – a sentir loro – politica.
Detto questo – premessa che mi è parso necessaria – ieri per il sindaco Virginia Raggi e il Movimento 5 stelle non è stata una bella giornata. Le dimissioni della Raineri e di Minenna hanno sancito la prima vera crisi della Giunta grillina, una crisi intestina e in un certo senso annunciata. Le dimissioni del direttore generale e dell’amministratori unici di Ama e Atac hanno completato un quadro già non idilliaco, dopo le tante promesse della campagna elettorale.
Il problema dei 5 stelli a Roma – da me sollevato in tempi non sospetti – è rendersi conto di chi o cosa governi veramente in questa città. Leggendo i giornali, sappiamo che a Roma esiste un direttorio cui la Raggi deve dare da conto. Tutto passa o passerebbe è il caso di dire attraverso questo organo non meglio precisato. Del resto, pare sia stato proprio questo stesso organo a mettere in discussione l’operato del neo sindaco, a partire dalle prime nomine.
Fate voi: “Dopo soli 74 giorni al Comune di Roma si apre la crisi politica più grave e dagli effetti, come presto vedremo, imprevedibili. Se Virginia Raggi in meno di tre mesi si trova a dover rimpiazzare tre capi di gabinetto, un assessore, due manager dell’Ama e uno dell’Atac“, scrive Antonello Caporale su Il Fatto Quotidiano. Non son mica bruscolini, questi.
D’altronde, un po’ di confusione è stata fatta secondo il mio personalissimo parere e una malcelata insofferenza dello stesso sindaco verso il direttorio, ancora, hanno fatto il resto. Perché Virginia Raggi si fida solo di alcune persone e alcune di queste persone non piacciono al direttorio – sempre lui – dicono i ben informati.
Ieri Di Maio, da Sassari, ha tranquillizzato tutti auspicando che la Raggi sia lasciata in pace di governare la città. E che comunque loro non si faranno schiacciare dalle lobby, ora più che mai. Ora, ammesso e non concesso che fa tanto chic dare la colpa a presenze più o meno oscure delle proprie battute d’arresto, questo non mi sembra sinceramente uno di quei casi in cui la suddetta scusa possa funzionare. Insomma, non può essere il vestito buono per tutte le stagioni dare la colpa agli altri.
Al contrario: qua il problema è interno, intestino come ho scritto sopra, perché il fatto che i fedelissimi della Raggi non vadano a genio al direttorio è tutta una questione 5 stelle. Non è colpa di nessuna altra corrente politica se i vari Frongia, Marra o Romeo non piacciano alle varie Taverna e Lombardi o ai vari Di Maio. Non so, forse ai 5 stelle piace essere masochisti.
Ma la frittata, a dire il vero, era stata già fatta con la perdita in Giunta di Minenna e Raineri, dove il primo aveva accettato la nomina ad assessore al Bilancio a patto che l’altra facesse parte della squadra. Ma gli eventi precipitano velocemente e se qualche risultato l’assessore al Bilancio se lo riconosce: “lo scongiurare l’aumento delle tariffe dall’acqua, il gettare le basi per la chiusura degli sportelli di Equitalia in Roma e tanti altri che ho riassunto nelle tabelle che pubblico“, dall’altra lo scontro sulle partecipate gli impedisce di lavorare come vorrebbe. Il clima, diventato irrespirabile, spinge Minenna a dimettersi e lo stesso fa la Raineri, che in Campidoglio è il capo di gabinetto del sindaco ma fedelissima dell’assessore al Bilancio.
“Domani (oggi ndr) faremo nuove nomine“, ha affermato sicuro Di Maio, come se il compito di un sindaco sia soprattutto trovare i sostituti di chi se ne va piuttosto che trovare qualcuno che l’aiuti ad amministrare una città. Fra l’altro bisogna intenderci su una cosa: quando si molla un incarico, se si escludono motivi personali o di incompatibilità, qualcosa allora deve essere successo; Rettighieri e Brandolese lo hanno detto a chiare lettere intervistati dal Corriere in un video. Presunte ingerenze dell’assessore Meleo non sono andate giù né al direttore generale di Atac, né al suo amministratore unico, infatti, e così la decisione di dimettersi entrambi.
Se ciò non bastasse, mentre la Giunta perde pezzi, ecco che al sindaco scappa una lacrima, sopraffatto dalla tensione colpa di quella che è stata definita a tutti gli effetti la sua giornata horribilis.
Mi chiedo quando la Casaleggio Associati e il direttorio lasceranno fare finalmente a Virginia Raggi il Sindaco.