Nacque ad Anversa il 22 marzo 1599 Antoon van Dyck, pittore e incisore fiammingo, settimo figlio di Franchois e Maria Cuypers, seconda moglie del padre. Il suo talento si manifestò in poco tempo e lui andò a lavorare in una bottega della città, quella di Hendrick van Balen. Di lì a poco tempo aprì una propria bottega insieme a un suo amico e a quel periodo risalgono opere “Autoritratto”.
Divenne allievo di Pieter Paul Rubens, che lo apprezzò a tal punto da qualificarlo come il migliore dei ragazzi con cui collaborava. La collaborazione tra i due (il giovane nel frattempo divenne maestro nella Gilda di San Luca) portò van Dyck a farsi conoscere negli ambienti aristocratici e borghesi e gli furono commissionati diversi lavori.
Aveva 21 anni quando iniziò a lavorare presso la corte di re Giacomo I d’Inghilterra e poi tornò ad Anversa e lì dimostrò di eccellere nei ritratti, tanto da essere considerato uno dei massimi ritrattisti di ogni tempo. Si rimise in viaggio, arrivò in Italia e ci rimase per anni per studiare le opere più importanti del Quattrocento e del Cinquecento. Roma, Genova, Milano, Torino, Venezia, Firenze, Mantova e Palermo. Per anni viaggiò in Italia e qui si affermò come ritrattista.
Di lui, lo scrittore e storico dell’arte, Gian Pietro Bellori, nell’opera “Le Vite de’ pittori scultori e architetti moderni”, scrisse:
“Erano le sue maniere signorili più tosto che di uomo privato, e risplendeva in ricco portamento di abito e divise, perché assuefatto nella scuola del Rubens con uomini nobili, ed essendo egli natura elevato e desideroso di farsi illustre, perciò oltre li drappi si adornava il capo con penne e cintigli, portava collane d’oro attraversate al petto, con seguito di servitori. Siché imitando egli la pompa di Zeusi, tirava a sé gli occhi di ciascuno: la qual cosa, che doveva riputarsi ad onore da’ pittori fiamminghi che dimoravano in Roma, gli concitò contro un astio ed odio grandissimo: poiché essi, avvezzi in quel tempo a vivere giocondamente insieme, erano soliti, venendo uno di loro nuovamente a Roma, convitarsi ad una cena all’osteria ed imporgli un soprannome, col quale dopo da loro veniva chiamato. Ricusò Antonio queste baccanali; ed essi, recandosi a dispregio la sua ritiratezza, lo condannavano come ambizioso, biasimando insieme la superbia e l’arte.”
Fu Carlo I d’Inghilterra a rivolerlo a Londra e lui rimase alla sua corte fino alla morte. Il re, infatti, gli diede grande importanza e lui, sentendosi apprezzato, trovò l’ambiente migliore per esprimere la propria grandezza artistica. Ebbe l’occasione di tornare ad Anversa quando Rubens, suo maestro e amico, venne a mancare, ma in quello stesso periodo Luigi XIII era alla ricerca di un artista che decorasse le sale principali della reggia del Louvre e lui partì alla volta di Parigi. Fu a causa di motivi di salute che dovette rientrare a Londra, città in cui morì il 9 dicembre 1641. Lasciò una moglie e una figlia neonata e nel suo testamento inserì anche una figlia avuta ad Anversa e le sorelle.