Monte Testaccio è la discarica più antica di Roma di cui abbiamo traccia, una collina artificiale alta circa 36 metri formata interamente da cocci. È il risultato di 53 milioni di anfore contenenti olio che un tempo veniva smerciato dal vicino porto fluviale dell’Emporium sul Tevere per poi essere qui gettate una volta svuotate. Si trova tra le mura aureliane e la sponda sinistra del Tevere.
Monte Testaccio è la traduzione letterale di Mons Testaceus (dal latino mons=monte e testae=cocci) e a oggi è un sito archeologico unico nel suo genere. Il suo utilizzo come discarica si protrasse dal periodo augusteo fino al terzo secolo.
IL fatto che le anfore di Monte Testaccio non furono riutilizzate e quindi ridotte in cocci è da attribuire al fatto che non erano smaltate all’interno e quindi non utilizzabili per poter contenere altri generi alimentari.
In alcuni casi, le anfore furono riciclate come materiale per l’edilizia ma il più delle volte finivano per essere ridotte appunto in cocci. La disposizione delle anfore ridotte in pezzi in ogni caso non sembra risultare casuale: tra una fila e l’altra si presume infatti fosse stata distribuita della calce per lenire i cattivi odori dati dalla decomposizione dei generi alimentari.
La presenza di un piano inclinato, inoltre, si presume servisse per permettere ai carri di raggiungere più agevolmente la sommità man mano che questa si spingeva verso l’alto. La gestione della discarica era a carico dei curatores.
L’abbandono della discarica negli anni fece nascere alcune leggende su di essa: c’era chi sosteneva che fossero scarti dei maestri vasai, errori di lavorazione, chi invece pensava fossero addirittura urne cinerarie. Quella più suggestiva però era senza dubbio quella che la collina fosse stata formata dai resti del grande incendio di Roma del 64.
La datazione inequivocabile di Monte Testaccio è segnata nei resti delle anfore. Era il 1881 quando attraverso alcuni scavi si scoprì che la provenienza delle anfore era di provenienza africana, più precisamente dalle coste africane della Bizacena e dalla Betica, oggi Andalusia. Fu così che si riuscì a determinare come il più antico fra i reparti risalisse al 141 mentre il più recenti al 251.
In epoca più recente si è scoperto invece che ogni anfora veniva contrassegnata con un timbro che ne classificava la sua fabbricazione. In seguito si aggiungevano invece i simboli dell’esportatore, la data di spedizione, il contenuto etc, tracciandone così la provenienza.
Il fatto che le anfore fossero d’argilla non era un caso, naturalmente: l’argilla ha una forte capacità isolante; le anfore di questo materiale venivano nascoste nelle pendici del monte all’interno di alcune grotte dove la temperatura rimane costante a 10°.
Il Monte dei Cocci ha cambiato drasticamente la sua destinazione d’uso nel corso del tempo, tanto che le sue grotte sono state utilizzate in epoca moderna per ospitare ristoranti e locali notturni; prima ancora vi si festeggiava il carnevale di Roma fra giochi crudeli e cruenti, con la famosa ‘ruzzica dei porci‘: carretti di maiali vivi venivano lanciati giù dalla collina e quando si sfracellavano in basso il popolo dava la caccia ai frastornati animali Paolo II lo trasformò in un vero e proprio Golgota per la via Crucis del venerdì Santo dopo il trasferimento del carnevale in via Lata, tornando a essere di nuovo metà delle feste romane, le cosiddette “ottobrate“(fonte wikipedia).
In epoca moderna, Monte Testaccio presenta due cime distinte, di cui la più alta si trova a ben 54 m.s.l.m anche se dai calcoli relativi all’erosione cui è stata soggetta si ipotizza che un tempo arrivasse addirittura a 80 metri. La sue estensione è di circa 22 mila metri quadrati e un perimetro di circa 1500 metri. Sulla collina sono ancora visibili i sentieri tracciati dai carri che scaricavano le anfore.