Le lacrime il giorno dell’insediamento, il giuramento e i cori degli elettori il durante la presentazione in Campidoglio e il caos delle nomine che l’ha vista entrare nell’occhio del ciclone. La protagonista della politica romana è stata sicuramente lei, Virginia Raggi, esponente del MoVimento 5 Stelle e prima sindaca di Roma, nonché la più giovane. Avvocato 38enne ed ex consigliera comunale, il suo nome è comparso ovunque dal momento in cui 1.764 iscritti al blog di Beppe Grillo hanno scelto lei come avversaria di Giachetti, Marchini, Bertolaso, Meloni e Fassina.
Ha battuto la concorrenza interna di Marcello De Vito, (già candidatosi nel 2013 contro Marino e Alemanno), Enrico Stefàno, Paolo Ferrara e Teresa Zotta conquistando il 45,5% delle preferenze e da lì è cominciata la sua ascesa, ma anche il suo anno di “passione” perché si è andati a scavare sul suo passato e da quel momento sono diverse le polemiche che si sono susseguite.
CAMPAGNA ELETTORALE – Il 25 febbraio 2016 si è presentata in conferenza stampa come candidata ufficiale a sindaca di Roma e la prima polemica alla quale ha dovuto far fronte ha riguardato il praticantato svolto presso lo studio Previti (condannato per corruzione giudiziaria) dal 2003 al 2006, con Pieremilio Sammarco. La grillina, infatti, aveva omesso la voce dal proprio curriculum e a chi in conferenza le ha chiesto delucidazioni in merito ha risposto di aver “svolto la pratica forense presso lo studio Previti e la cosa mi fa sorridere perché risale a 13 anni fa, quasi metà della mia vita. Ho fatto il mio primo colloquio con uno dei miei professori, di diritto dell’informatica, e lui mi disse che sarebbe stato onorato di lavorare con me e io con lui. Io sono andata a fare la pratica lì e ho fatto per lo studio Previti, come tutti i praticanti, i giri di cancelleria. Perché non l’ho inserito nel curriculum? Perché in linea di massima gli avvocati non inseriscono nel loro curriculum gli studi nei quali fanno pratica a meno che non siano gli studi nei quali continuano a prestare lavoro”.
Polemica immediata: Virginia Raggi è una bugiarda e omette informazioni che i cittadini dovrebbero sapere, manca di trasparenza. Un ritornello che è stato ripetuto anche in seguito, quando si è venuto a sapere della sua presidenza presso l’Hrg, una società legata a Panzironi. Così la trasparenza, quella più volte inneggiata dai pentastellati, è stata più volte messa in discussione e fino all’ultimo giorno ha dovuto rispondere agli attacchi frontali che le sono arrivati. L’ultimo in campagna elettorale ha riguardato le consulenze fornite all’Asl di Civitavecchia, ma poi la questione è stata archiviata.
Tanti gli ostacoli incontrati in campagna elettorale, dalle proteste sopracitate alle accuse mosse da Il Messaggero – giornale di Caltagirone, socio di Acea -, seguito a ruota da vari esponenti del PD, da Orfini, Esposito e Giachetti stesso, che hanno dato alla pentastellata la responsabilità della perdita di ben 140 milioni di euro (71 a carico dei romani) in borsa della municipalizzata. Il motivo? Aver parlato di quelle che sarebbero state le novità da introdurre nell’azienda in caso di vittoria delle elezioni, aver affermato la necessità di applicare quanto stabilito nel referendum del 2011 sull’acqua pubblica e aver detto di voler operare dei cambiamenti ai vertici. Un massacro unanime e poi smentito visto che il titolo ha subito un rialzo. Ma queste critiche, da quelle giuste a quelle più futili, create ad arte per metterla in difficoltà, non sono bastate e i romani hanno comunque detto “no” alla vecchia politica – che prima ancora della sconfitta invitava Virginia Raggi a defilarsi – per affidarsi al nuovo.
CoRAGGIo e RAGGIrati – Dallo slogan “coRAGGIo” della campagna elettorale al “RAGGIrati” mandato in tendenza sui social nel post elezioni il passo è stato breve. Virginia Raggi ha vinto le elezioni il 19 giugno con il doppio dei voti ricevuti dal suo avversario, ma dal giorno del suo insediamento, dalle lacrime immortalate dagli scatti dei giornalisti pronti a riprenderla quando per la prima volta si è affacciata dal balcone del Campidoglio, ne è passata di acqua sotto i ponti e dopo le incertezze sulla composizione della giunta, presentata a luglio, il primo problema ha avuto un nome e cognome: Paola Muraro, che all’inizio del mandato era incensurata e non aveva indagini a carico. Scelta come assessore all’Ambiente, a fine estate è scoppiato il caso quando ha scoperto di essere inquisita, ma la sindaca non ha rinunciato a lei, le ha rinnovato fiducia, come l’ha data anche a personaggi che hanno spaccato gli equilibri interni del M5S, gli ormai famosi Marra e Romeo. La mancata volontà di far fare un passo indietro all’assessore (è solo uno dei passi falsi dell’era Raggi), il suo voler essere indipendente hanno portato allo scioglimento del mini direttorio che avrebbe dovuto guidarla e ai piani alti del M5S le posizioni delle prime donne Roberta Lombardi, Paola Taverna e Carla Ruocco,(con loro anche esponenti come Roberto Fico) sono ancora in netto contrasto rispetto alla sua.
DALLA CRISI ALL’ARRESTO DI MARRA – Mentre si aspettavano novità riguardanti il caso Muraro, ecco che a settembre sono arrivate le dimissioni di Minenna, considerato il pezzo da 90 della giunta, che ha seguito a ruota Carla Raineri, capo di Gabinetto che dal primo istante ha denunciato l’importanza dei cosiddetti fedelissimi della Raggi, identificando in Salvatore Romeo “il vero capo di Gabinetto” e in Raffaele Marra, all’epoca vice capo di Gabinetto, l’uomo “che riferiva direttamente alla sindaca”. È iniziata così la prima vera crisi della giunta pentastellata, ma poi si sono susseguiti il “no” alle Olimpiadi contestato dal governo e dai partiti (era un no risaputo e gli stessi cittadini che l’hanno votata erano consapevoli della decisione che avrebbe preso), l’ironico “frigo-gate“, scoppiato dopo le perplessità espresse dalla sindaca in merito ai frigoriferi e i rifiuti ingombranti abbandonati per strada nella Capitale, l’ufficializzazione della ricezione dell’avviso di garanzia e le dimissioni di Muraro, l’arresto di Marra – con le opposizioni pronte a richiedere le dimissioni di Virginia Raggi, tranne alcuni esponenti del PD, che ha chiesto la verifica degli atti approvati dall’ormai ex capo del personale -, la bocciatura del bilancio da parte dell’OREF e la sospensione dell’ordinanza contro i botti di fine anno.
Sono stati sei mesi sull’ottovolante e dicembre ha quasi rappresentato il punto di rottura con il MoVimento perché dopo l’arresto di Marra i vertici e Grillo si sono schierati contro la sindaca, che per cercare di correre ai ripari ha dovuto riassegnare alcuni ruoli, eliminando Frongia come vicesindaco, nominando al suo posto l’assessore alla Cultura Bergamo, spostando Romeo e nominando Montanari all’Ambiente.
ERRORI E MEDIA – Pro o contro, errori ne sono stati fatti, è sotto gli occhi di tutti ed è anche inutile negarlo. Ma è altrettanto inutile pensare che in sei mesi Roma avrebbe dovuto cambiare volto. La situazione in cui versa la Città Eterna è tutt’altro che felice e per vedere un vero cambiamento ci vorranno anni. Anni, non mesi. Magari avverrà grazie al M5S oppure anche loro falliranno e si dovrà correre ai ripari in altro modo, ma è troppo facile ora far ricadere tutto sulle spalle di chi sta ancora mettendo le mani sul caos del Campidoglio ed è altrettanto facile diventare tutti giudici solo adesso. Chiaramente la vittoria del M5S ha fatto sì che a Roma fosse riservato un occhio di riguardo, ma come non notare lo smisurato interesse di Tg e testate (tanto i giornali cartacei quanto quelli online), che hanno spesso riservato prime pagine ai fatti di Roma – qualche autogol se l’è fatto lei, la sindaca, pur potendoli prevenire – anche a discapito di notizie più importanti?
Si chiude così un anno turbolento, pieno di ostacoli e per il 2017 non resta che augurare che Roma mostri i primi segni di un’inversione di marcia necessaria e che non può più essere rimanda, che Raggi e giunta non si affidino solo “all’onestà” e riacquistino credibilità anche gli occhi di chi oggi mette in dubbio o si è già pentito del voto di giugno e che la discussione politica – tanto degli elettori quanto di chi ha il potere di veicolare l’informazione – smetta di trasformarsi in una lotta tra grillini e anti-grillini. Meno tifosi e più oggettività, ma anche meno slogan e più fatti. Perché sì, i romani hanno visto in lei e nei 5 Stelle l’unica realtà in grado di poter portare al cambiamento, ma il popolo dà e il popolo toglie e senza risultati sarà difficile confermarsi in futuro. Roma è il banco di prova dei 5 Stelle, lo sanno loro e lo sanno gli altri partiti. Non a caso ad ogni mossa della sindaca il mantra è sempre lo stesso e le opposizioni si compattano al grido di “dimissioni immediate” e “incompetenti, dilettanti allo sbaraglio“. E l’informazione fa da eco perché oggi tutti vogliono risultati immediati e non c’è giorno in cui non ci si occupi di Virginia Raggi (Roma passa in secondo piano), anche solo per scrivere titoli come questo: “Virginia Raggi: zigomi, occhi e notti insonni. È l’ombra della donna che era”. Nel frattempo, però, la stessa attenzione non viene riservata a situazioni locali o nazionali altrettanto importanti.
Ma non si potrà sempre e solo parlare di nomine e “caos Roma“. Adesso serve stabilità e la prima a dare un segnale deve essere lei, dimostrando di essere in grado di governare una città complessa come la Capitale e senza dare adito alle polemiche che hanno regnato nella seconda metà di questo 2016. Facile aggregarsi a chi non ha aspettato altro che vederla (o vederli se vogliamo parlare del MoVimento intero) inciampare. Ormai è come sparare sulla Croce Rossa. E allora ogni tanto spezziamo una lancia in suo favore e auguriamole, auguriamoci, che l’anno nuovo porti la ventata di novità invocata dai romani che l’hanno voluta lì e che lei abbandoni i peccati di un’inesperienza che è innegabile dato che che è un’attivista dal 2011 ed è stata eletta nel Consiglio comunale nel 2013. Sgarbi, in un video in cui ha parlato della sindaca, ha detto che “un professore di cinese non deve essere onesto. Un professore di cinese deve conoscere il cinese. Se è solo onesto, mi insegna il cinese che non sa”. E questa stessa testata ha aggiunto che “se è onesto meglio, ma se è onesto ma non sa il cinese, allora l’incompetenza rischia di fare i danni”. Ecco, mi piace ricordare che tra i competenti della politica che hanno guidato Roma ci sono personaggi come Gianni Alemanno, che tra saluti romani, scandali e neve è riuscito ad arrivare addirittura alla fine del mandato. E allora sei mesi non bastano per dire che il M5S ha già fallito. Un primo bilancio andrà fatto già nel 2017, ma pensare che il cambiamento sarebbe avvenuto nel 2016 è semplice utopia. E sarebbe stato così anche se alla guida ci fosse stato un Giachetti, certamente più esperto e magari in grado di evitare alcuni scivoloni.