Ha dovuto combattere da subito lo scetticismo che lo circondava e alla fine il bilancio della prima stagione italiana di Jordan Lukaku è positiva. Soprattutto nella seconda parte il giovane belga ha fatto vedere tutte le sue qualità lungo la fascia ed è riuscito a ottenere maggiore spazio:
“La finale di Coppa contro la Juventus – ha raccontato a Sport/Voetbalmagazine – era la partita dell’anno per me. Mi sentivo molto bene nelle ultime settimane e sentivo che i compagni di squadra, lo staff e la società avevano sempre più fiducia in me. Se sarei stato nella formazione titolare? Non ne ho idea, ma di sicuro ci sarei andato vicino”.
MODULO – “3-5-2 è il mio modulo preferito? Ho giocato bene anche contro il Torino nella difesa a quattro fisicamente è anche un po’ più facile perché devo attaccare di meno”.
LA SERIE A – “La Serie A mi è sembrata essere la scelta migliore sul lungo periodo. Devo ancora crescere e non c’è un altro posto in cui potrei migliorare tanto tatticamente quanto in questo campionato. In Belgio si presta troppo poca attenzione alla tattica, qui invece analizzano il modo in cui gli attaccanti pressano la difesa avversaria e rientrano a difendere loro stessi. In allenamento a volte dividono i centrocampisti dai difensori per poi farli muovere tutti in linea retta, sono gli esercizi più noiosi ma anche i più importanti. La differenza del calcio italiano? L’approccio alla partita, la preparazione che si fa. Durante i match devi essere sempre concentrato, all’Ostenda potevo rimediare ad eventuali errori grazie alla velocità e alla forza fisica. Qua mi sono reso conto che non è possibile giocare così, sono tutti più veloci e concentrati di me. Un errore è subito fatale”.
LA SUA STAGIONE – “Non ho iniziato male, ma fisicamente ho stentato parecchio. Faticavo a fare tutti e 90 i minuti, sia dal punto di vista fisico che tattico. In Italia non c’è spazio per l’imprevisto. In Italia il calcio è come gli scacchi. Questo fa sì che qui anche calciatori tecnicamente non eccelsi siano utili, diventando addirittura essenziali per il sistema di gioco. Qui il calcio lo comprendono”.
BIGLIA – “Il mio rapporto con Biglia non è cambiato dai tempi dell’Anderlecht. Resta un grande leader, la sua sola presenza ti mette a tuo agio. Facilita il gioco degli altri. Intendo dire che ha sempre tutto sotto controllo in campo. Parla con tutti, anche con lo staff, per vedere come preparare una sfida. E’ diventato più forte di quando era all’Anderlecht, ma continuo a dirgli che non ha ancora tirato fuori il meglio di sé durante la sua carriera. Può giocare anche meglio”.
INZAGHI – “Ovunque io vada non conto molto sull’allenatore, non voglio essere suo amico. Sto solo cercando di andare d’accordo con lui. Il calcio è lavoro, affari. Anche se ho iniziato a giocare per hobby, poi è diventata una passione, infine lavoro”.