Scherzi telefonici: la vittima può dimostrare che si è trattato di molestia e far scattare la procedura penale
Lo scherzo telefonico può sembrare un qualcosa di innocente e innocuo, almeno fino a quando non si supera un certo limite. Nel Codice Penale, infatti, si parla di molestie telefoniche, anche se la condanna dipende da alcuni fattori, come anche l’eventuale risarcimento della vittima.
Come ricordato dal portale Laleggepertutti.it, se si ritira la querela, il procedimento va comunque avanti, per la precisione fino a quando il giudice non ha accertato se lo scherzo sia stato una molestia. Si rischiano addirittura sei mesi di carcere oppure una multa di 516 euro.
Lo scherzo diventa un reato quando si limita la libertà dell’altra persona: questo vuol dire che, oltre al disturbo, ci deve essere la petulanza. Una telefonata tra amici, finita con risate reciproche, non potrà mai rappresentare un reato.
Se però il molestatore costringe il molestato a cambiare le sue abitudini di ogni giorno, come ad esempio spegnere continuamente il telefono o addirittura passare a un nuovo numero, allora il discorso cambia. La legge parla di un “grave disagio psichico” arrecato alla vittima. Tra l’altro, la Cassazione ha punito persino telefonate di pochi secondi e telefonate mute, anche se questo comportamento deve essere ripetuto nel tempo.
Gli squilli continuati possono configurare ugualmente una molestia telefonica. Le prove sono ovviamente fondamentali. I tabulati telefonici e le dichiarazioni dei testimoni (in particolare persone che hanno assistito ai fatti) sono le più importanti. Sarà poi il giudice a stabilire se lo scherzo sia stato pesante e dannoso o meno: in caso di archiviazione, comunque, la vittima ha la possibilità di chiedere un risarcimento del danno.
