Stefano Mauri e Alessandro Matri hanno incontrato gli alunni della scuola Nelson Mandela durante l’iniziativa “Dalla scuola allo stadio, il modo giusto per sostenere lo sport” e hanno risposto alle domande ricevute. Il primo a prendere parola è stato il centrocampista, che ha spiegato cosa rappresenta il derby a Roma:
“Rispondo io perché ne ho giocati di più -inizia Stefano Mauri, come riportato dal sito ufficiale-. Il derby è una partita particolare soprattutto a Roma, la città lo sente molto. È un’emozione particolare ed unica, difficile da descrivere e spiegare. Bisogna viverla per capire, già dal ritiro estivo si aspetta questa data, con tanta voglia di fare. Si gioca non solo per la squadra ma per la città intera. Il derby più bello? Quello del 26 maggio, quando abbiamo vinto la Coppa Italia. Ogni derby è particolare, quello è unico e rimarrà l’unico della storia. Per me, da Capitano, alzare quella Coppa è stata un’emozione indescrivibile”.
SUL SUO GOL PIÙ BELLO – “Probabilmente la rovesciata contro il Napoli anche se ricordo molto bene i tre fatti ai derby, sono quelli che ricordo maggiormente, ma ne ho fatti tanti per fortuna. È sempre bello segnare un gol, una gioia, a prescindere da chi segna. Certe volte però, può succedere di segnare a una ex squadra, a me è capitato più di una volta. Sei contento per il gol fatto, ma è una strana sensazione. Mio padre giocava a calcio, nella squadra del paese. Mi ha trasmesso la passione, per fortuna è diventata un lavoro“.
SUL GIOCATORE PIÙ FORTE INCONTRATO – “Il giocatore più forte che ho affrontato è forse Pirlo, dovevo seguirlo in campo quando non avevo palla. Non sembra, ma corre veramente tanto -termina Mauri-. Ronaldo-Messi? Una bella domanda, vanno bene entrambi. Probabilmente è più forte Messi, ma Ronaldo lo sta raggiungendo”.
Dopo Mauri è stato Matri a rispondere alle domande degli studenti. La punta arrivata in estate alla Lazio è partito dal ciclismo, sport praticato in famiglia, ma poi si è allontanato e ha spiegato i motivi:
“Io ho iniziato dal ciclismo perché mio padre era il presidente della squadra del paese, mio fratello lo faceva, mio zio pure quindi mi sono aggregato. Crescendo ho voluto seguire gli amici quindi mi divertivo di più giocando a pallone. Lasciai anche perché era uno sport abbastanza duro da fare da bambini, dovevi allenarti da solo, ho preferito allenarmi con il pallone anche perché mi riusciva meglio”.
SULL’IMPORTANZA DELLO STUDIO ANCHE SE SI GIOCA – “Ai ragazzi che vogliono giocare a calcio ma devono studiare rispondo che bisogna far combaciare tutte e due le cose –prosegue l’attaccante biancoceleste-. Anche noi siamo andati a scuola e abbiamo raggiunto gli obiettivi sporadici facendo combaciare gli impegni sportivi. La scuola insegna a comportarsi ed a stare in mezzo alla gente, però è anche giusto far combaciare lo sport, una cosa sana che permette di divertirsi e staccare la testa dalle altre cose”.