Introvabile dal 1963, Bernardo Provenzano, il boss di Cosa nostra venne arrestato dopo ben 43 anni di latitanza, l’11 aprile 2006.
Binnu u’ Tratturi o Zu Binnu, questi i soprannomi con cui era conosciuto, iniziò alcune attività illegali sin da piccolo e ben presto si legò alla mafia locale, tramite Luciano Liggio. Si occupava principalmente di furti di bestiame e alimenti, ma non mancarono i conflitti a fuoco con clan mafiosi avversari. Dopo l’arresto nel 1958, Provenzano iniziò la sua lunga latitanza nel 1963, ma questa non gli impedì di ricoprire un ruolo di vertice e, infatti, insieme a Riina, scatenò la seconda guerra di mafia negli anni Ottanta, mentre negli anni Novanta mediò tra chi era a favore degli attentati del 1992-93 e chi era contrario.
Di lui non si aveva nessuna traccia, non una foto, ma proprio negli anni Novanta furono messi a segno una serie di arresti e alcuni mafiosi cominciarono a collaborare spontaneamente: le forze dell’ordine più volte vennero a conoscenza di incontri con il boss, ma in ogni occasione mancarono mezzi e uomini a disposizione per intervenire e per questo bisognò aspettare diversi anni prima dell’arresto di 47 persone (1998) legate alla sua figura, accusati di aver favorito la latitanza.
Per l’arresto di Bernardo Provenzano le indagini si concentrarono sui pizzini inviati a moglie e figli e, grazie agli appostamenti, gli agenti riuscirono a individuare il casolare in cui viveva. Per 10 giorni monitorarono il luogo con le microspie e poi, l’11 aprile, entrarono in azione per arrestarlo. Lui non oppose resistenza, anzi, si complimentò con la scorta e chiese di poter effettuare l’iniezione necessaria in seguito a un suo intervento alla prostata. Dall’arresto fu sottoposto al regime del 41bis.
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