Berisha, Biglia e Konko – come riportato dal sito biancoceleste – hanno visitato l’Istituto Maria Ausiliatrice in occasione dell’appuntamento con “Dalla scuola allo stadio, il modo giusto per sostenere lo sport”, un’iniziativa che nel corso dell’anno ha portato vari giocatori della Lazio a fare visita agli studenti delle scuole elementari e medie romane.
Biglia, il capitano biancoceleste, ha parlato dei sacrifici necessari per raggiungere alti livelli, del razzismo e dei suoi inizi:
“Il tempo libero che abbiamo lo dobbiamo sfruttare nel miglior modo possibile per trascorrerlo con la famiglia, se mio figlio volesse fare il calciatore non avrei problemi, è importante che faccia ciò che gli piace fare. Oltre al calcio mi piacciono il tennis e le macchine. Pratico molto il primo, il secondo no perché si rischia. La gente giudica secondo l’aspetto fisico, ma per noi il colore della pelle non conta“.
Sull’importanza dell’approccio alla gara, fattore spesso determinante (negativamente) nella stagione laziale:
“Per vincere una partita bisogna fare quello che richiede il mister, ma soprattutto è l’approccio a determinare la partita. C’è una differenza di rendimento quando non ci si allena bene. È importante allenarsi sempre e molto spesso, il rendimento va di pari passo con ciò che si fa durante la settimana in campo“.
Il secondo a prendere parola è stato Konko. Anche lui ha commentato i cori razzisti, gesti che fanno male allo sport e che riguardano solo una minoranza, poi ha commentato gli errori che si commettono durante una gara:
“Sbagliare in un contesto di squadra non è un problema. Quando si sbagli bisogna rialzarsi, riprovarci finché non ci si riesce. Andare d’accordo in un gruppo non è complicato, conta la fiducia. Razzismo? Si è capitato, sono episodi brutti che non bisogna seguire. Bisogna reagire per dare un segnale, ma i buu non demoralizzano ma fanno solo danni. Bisogna combatterli con fermezza“.
Infine, Berisha ha parlato del suo arrivo a Roma e del suo percorso:
“prima ero centrocampista, solo successivamente ho capito di poter giocare in porta. Una volta infatti mancava il portiere e ho giocato tra i pali e da lì ho capito che era il mio ruolo. C’è tanta gente che pensa che sono bravo, altri pensano il contrario. Ma per me è sempre importante crescere come portiere per fare meglio. Il calcio lo si vede con gli occhi, quindi a volte c’è soggettività. Bisogna però dare sempre il massimo”.