Era l’11 dicembre 1792 quando Luigi XVI, re di Francia fino al giorno della deposizione avvenuta il 10 agosto di quello stesso anno, comparve per la prima volta davanti alla Convenzione in occasione del drammatico processo che lo vide chiamato in causa per rendere conto delle sue congiure.
“Chi lo avrebbe riconosciuto in quell’11 dicembre, vedendo quell’immagine pietosa che, per tutta la lunga giornata invernale, nel suo triste vestito bruno, navigava, per così dire, tra la pioggia che cadeva e il fango dei boulevards? […] Non era per nulla lo spettro livido, il cupo Ugolino che l’immaginazione popolare cerca in un prigioniero. Era l’uomo ancora grasso, già un po’ smagrito, di un grasso pallido e malato che non empie più le guance e trabocca sul colletto spiegazzato. Aveva una barba di tre giorni; la sera prima gli erano stati tolti rasoi e forbici; né corta né lunga essa era soltanto incolta e sudicia. […] Specialmente al ritorno il digiuno, l’indebolimento, la stanchezza facevano di lui una creatura che era pietoso vedere”.
Michelet descrisse così quello che per anni fu soprannominato il “re dei francesi” e che proprio quel giorno non divenne altro che un simbolo da annientare. E, infatti, Luigi XVI non uscì vincitore dal processo, ma sconfitto: fu quell’evento a segnare il suo destino.