“Li avete presi vivi, li rivogliamo vivi“. Questo l’urlo che si alza in direzione di Acapulco, un grido che non può che far tremare il senso di libertà insito in ognuno di noi. Si muove pretenzioso tra le fila di 2mila manifestanti che hanno bloccato l’autostrada che collega la città della Strage con Città del Messico. Ebbene arriva fino a qui, e questa volta la vicenda fa notizia. Lo sentiamo anche noi, lo sente l’organizzazione per la tutela dei diritti umani, lo sente chi era presente quel fatidico 26 settembre con le mani alzate in ricordo della protesta che nello stesso periodo, quasi 50 anni prima, aveva visto altre 300 vittime della rivoluzione tra civili e studenti. Questa volta, siamo arrivati a 17.
La Jornada, una delle principali testate messicane, lo scrive nell’edizione di ieri : “Blanco Cabrera sostiene che i corpi furono collocati su rami e tronchi, bruciati con una sostanza infiammabile quale potrebbe essere benzina o petrolio. Alcuni di questi corpi sono tutt’ora ridotti a pezzi mentre altri sono stati ritrovati parzialmente integri. Per l’accertamento potrebbero occorrere 15 giorni come due mesi, l’opinione verrà lasciata agli esperti“. Rubicela Morelos ce lo spiega con queste immagini che evocano circostanze drammatiche, sentimenti che si evolvono in un contrasto tra rabbia e paura negli occhi di chi oggi, protesta sotto il sole dell’arido Messico. Ma quello che fa piangere le madri è ben altro. Due arresti e i coinvolti nella strage rilasciano quella rivelazione che uccide la speranza di tutti quelli che ancora credono in un ritrovamento. “E’ stato il capo della pubblica sicurezza, Francisco Salgado Valladares, a ordinare di avvicinarci all’autobus che trasportava gli studenti. Poi un uomo, soprannominato El Chucky ci ordinò di prenderli e ucciderli”.
Criminalità organizzata e polizia che cooperano, storia già sentita, come già prevista era la scarcerazione di tre degli accusati, tra cui spicca la figura di Felipe Flores, segretario della pubblica sicurezza. Insomma una tragedia che pesa nuovamente sulle spalle di un Messico, il quale sembra essere ormai stanco di dover ignorare le troppe fotografie di questi momenti di cruda violenza.
7 ottobre 2014