La Capitale Roma promuove il progetto La Casa di Leda, ovvero la prima struttura per l’accoglienza figli delle detenute, approvato dall’Assessore alle Politiche Sociali, Francesca Danese, in memoria di Leda Colombini, la fondatrice e l’essenza dell’associazione “A Roma, Insieme“, La Danese dichiara che si stanno valutando due spazi appositi per poter sviluppare il progetto ideato. Il modello proposto è stato discusso e promosso alla conferenza stampa emanata dal Presidente della Consulta Penitenziaria, Lillo Di Mauro, con la partecipazione della stessa associazione “A Roma, Insieme”, che inoltre conta di poter sviluppare e inglobare nel progetto anche le altre regioni italiane. Si tratta di inaugurare, al più presto, a Roma, la prima casa famiglia, volta ad accogliere le detenute madri insieme ai loro figli. Tale iniziativa è stata anche formulata e articolata dal medesimo Presidente Lillo Di Mauro, con la collaborazione di altre associazioni, che si trovano impegnate nella promozione della campagna dei genitori detenuti, i quali posseggono figli che non possono vedersi offuscare i propri diritti. Così, si tenta di attuare in pieno e con efficacia il decreto legislativo numero 62 dell’anno 2011, nel quale le case famiglie erano già state previste e proposte, senza però alcun risultato. Infatti, in questa legge vengono delineate sistemi di esecuzioni penali diverse, a seconda dei reati: per quelli reputati più gravi, i detenuti al carcere, quelli meno gravi presso Istituti a Custodia Attenuata e Case Famiglia Protette, coordinate dal terzo settore e dagli enti locali, proprio in virtù del fatto che si deve risolvere la situazione del rapporto detenute – madri – figli, non nell’ambito legislativo e penale, piuttosto assistenziale. Già le Leggi Gozzini e Simeone e quella numero 62, citata prima, prevedono queste strutture residenziali per poter impiegare del tempo con i bambini, con appositi spazi, in mancanza di un luogo abitativo o di un domicilio, durante il periodo di detenzione. L’Assessore alle Politiche Sociali, nel frattempo, sta già analizzando due strutture che si presenterebbero piuttosto idonee, che saranno visitate e valutate anche dalla Presidente Gioia Passarelli di “A Roma, Insieme”, in quanto da anni, in precedenza come la stessa Leda, sta lottando per raggiungere questo importante obbiettivo. Così fondamentale questo progetto, da esser inserito nel nuovo piano strategico per il rispetto dei diritti umani, architettato dalla stessa Francesca Danese, perché Roma si deve saper distinguere e proporre come colei che tutela i diritti e che anticipa i bisogni. Inoltre, prosegue porgendo la sua gratitudine e esprimendo l’affinità che si è instaurata tra lei e Rita Visini, sua collega alla Regione Lazio, la quale ha sostenuto profondamente l’iniziativa, accompagnata con il motto “nessun bambino varchi più la soglia del carcere“, reso noto alla conferenza di oggi, 11 febbraio, da Gioia Passarelli al Presidente della Consulta Penitenziaria. Il nome affidato al programma riporta quindi, a Leda Colombini, in quanto da sempre si è prefissata il seguente scopo: istituire case famiglia custodite, nelle quali i bambini possano trascorrere del tempo insieme alle rispettive madri, in piena sicurezza, al fine di non far accusare in malo modo, il peso e la cruda e amara realtà che sono costretti già a vivere i figli, tra le sbarre e il mondo esterno, senza subire sacrifici, rinunce e umiliazioni ulteriori. Progetto ideato proprio in virtù del fatto che nelle carceri prevale di gran lunga la presenza di detenuti di sesso femminile, ovvero una cifra pari a 408 su una popolazione complessiva di 5.600 mila carcerati, prendendo in considerazione che le donne rappresentano il 4% della popolazione nazionale carceraria. Dati illustrati proprio dal Provveditore Regionale del Lazio del Ministero della Giustizia, Maria Claudia Di Paolo. Tra l’altro, viene dichiarato che solo nel carcere di Regina Coeli a Rebibbia è stato istituito un’asilo nido, assente invece in quelli di Civitavecchia e Latina. Per quanto concerne Regina Coeli, le carcerate con figli sono 18, con una capienza massima di 20, quasi tutte di origine rom. La gran parte di questi bambini sono ancora piccolissimi, di appena pochi mesi, mentre il più grande, tra non molto compierà 3 anni. Però l’età di tre è rilevante perché soltanto fino ai tre anni, appunto, i bambini possono “sostare” al fianco delle madri tra le sbarre, per poi venire affidati ai campi rom, ai parenti o a qualche casa famiglia esterna se si presenta la possibilità. A tal proposito, ha preso la parola Gabriele D’Agostino, il Rappresentante del Garante dei Detenuti Laziali, giudicando un vero e proprio fallimento sul come viene gestita la situazione e trattato questo delicatissimo argomento, dichiarando la sua piena approvazione ed entusiasmo per quanto riguarda l’iniziativa, accuratamente personalizzata, promossa da Roma e infine congratulandosi per i grandi e distesi passi compiuti però soltanto da associazioni a carattere privato – sociale, che hanno portato a conclusione gli impegni predisposti. Il Presidente della Consulta Penitenziaria di Roma, invece, ha risposto a quel quesito, avanzato l’8 marzo dell’anno 2013, riguardo alle spese da sostenere per provvedere all’installazione di strutture di case famiglia, mostrando le tappe da poter intraprendere, ovvero: individuare la struttura più idonea, affidata in concessione dal Comune di Roma, avviare i lavori di ristrutturazione, che saranno finanziati da diversi sponsor e fund raising e infine, dar avvio alla gestione convenzionata con le realtà che si occupano del terzo settore. Questa una soluzione efficace per portare a termine il progetto. La Casa Di Leda ha elaborato varie attività e servizi di natura residenziale consueta e quotidiana da offrire a tutte le detenute, italiane, straniere o rom che siano, al fine di garantire e tutelare l’assistenza, l’educazione, l’istruzione, il fenomeno di socializzazione e di inserimento futuro nel mondo del lavoro e appunto all’interno della medesima struttura sociale, alle madri e ai figli. L’edificio diventerebbe quasi un rifugio di passaggio per tutti coloro che si trovano a vivere, in un certo senso lì, tra le sbarre, non quindi da considerare un domicilio ma piuttosto una struttura abitativa indipendente che permetta di ampliare le vedute e sviluppare le potenzialità di ogni individuo nel modo più sereno e armonico possibile, senza stroncare a priori future opportunità. La disponibilità nell’accoglienza prevede all’incirca un massimo di sei mamme o papà con i rispettivi figli, al fine di mantenere la situazione in ordine e sotto gli occhi vigili dei competenti. A collaborare saranno gli assistenti sociali dell’Uepe che si occuperanno di inserire gli “ospiti”, insieme al personale della Cooperativa Pid e degli stessi Istituti Penitenziari Femminili per coordinare con efficienza le aree pedagogiche destinate al ritrovo e allo svolgimento delle attività dei carcerati con le famiglie. L’ideale sarebbe scovare una struttura nei pressi di edifici che offrono servizi territoriali, assistenze socio – sanitarie ed ospedali, che possano permettere vantaggi nonché diritti a questi figli e genitori. Ben presto quindi sarà istituita a Roma, la prima struttura di accoglienza per i figli delle detenute: “La Casa Di Leda”.
di Erika Lo Magro
11 febbraio 2015