Proponiamo di seguito l’articolo “Olio di palma, ma se il problema fosse un altro?” pubblicato su LepiniMagazine, martedì 30 giugno. Una riflessione su un ingrediente presente nella maggior parte dei prodotti che acquistiamo e che suscita di giorno in giorno nuove polemiche e dibattiti. Un ulteriore input per fermarci a riflettere sulle nostre abitudini a tavola.
Buona lettura
Sta diventando il fantasma delle nostre dispense. Il male assoluto da cui difenderci e per cui sembra non esserci via di scampo. Stavolta è l’olio di palma a finire sul banco degli imputati, scatenando scambi d’accuse tra chi lo demonizza e chi ne difende l’utilizzo.
Le polemiche si sono scatenate soprattutto a seguito dell’introduzione dell’obbligo di indicarne la presenza in etichetta, precedentemente mascherata sotto la dicitura generica “grassi vegetali”. A questo si aggiunge la problematica legata alla sostenibilità ambientale della coltura intensiva delle palme da olio.
Ma proviamo a utilizzare uno sguardo più critico e cerchiamo di affrontare l’argomento con la giusta dose di serenità.
L’olio di palma viene estratto dal mesocarpo del frutto di tre diversi tipi di palma. Utilizzato nella cucina africana, è stato introdotto in Europa nell’800 come lubrificante industriale. La sua coltivazione si è poi diffusa nell’Asia sud-orientale, dove negli ultimi decenni ha subito una forte impennata, dovuta alla massiccia richiesta da parte dell’industria alimentare e di biocarburanti e anche alla campagna contro i grassi idrogenati. Ingrediente lontano dalle nostre tradizioni culinarie, l’olio di palma entra in casa nostra nel momento in cui acquistiamo prodotti industriali.
Per quanto riguarda la sua composizione, l’olio di palma contiene circa il 48% di acidi grassi saturi, con una netta prevalenza di acido palmitico (43% circa), accompagnato da un 4% di acido stearico. Accanto a questi troviamo un elevato contenuto di monoinsaturi, con l’acido oleico che arriva circa al 38%, e polinsaturi, con il linoleico al 10% circa. Questa composizione renderebbe l’olio di palma migliore del burro o dell’olio di cocco, più ricchi di grassi saturi e meno di grassi considerati protettivi. L’elevato contenuto di acidi grassi saturi, inoltre, permette all’olio di palma di resistere all’irrancidimento, frequente negli altri oli vegetali. Aggiungiamo poi che è un grasso che costa poco, ha un sapore neutro, possiede un elevato punto di fumo che lo rende utilizzabile per la frittura. L’olio di palma grezzo, inoltre, possiede un bel colore rosso brillante, indice di un elevato contenuto di antiossidanti, carotenoidi, steroli. Nella sua forma non raffinata, dunque, l’olio di palma è un cibo salutare. Ma allora perché viene preso di mira? In realtà il problema risiede proprio nella raffinazione che disperde tutte le proprietà salutari tipiche del prodotto grezzo. Una lavorazione di questo tipo ha lo scopo di eliminare odori, aromi e colori che renderebbero gli alimenti poco “attraenti” per i consumatori.
Il problema è che l’olio di palma è presente praticamente in quasi tutti i prodotti di uso comune e il rischio di ingerirne una quantità eccessiva, dannosa per la nostra salute, non è un’ipotesi così lontana. Pensiamo alle fette biscottate e i biscotti che molti di noi utilizzano per la prima colazione, al pacchetto di crackers di metà mattina, al pane confezionato, al cioccolatino o al mezzo cornetto che accompagna il caffè, alla fetta di pancarrè con la crema al cacao, alle patatine, al fritto di rosticceria, all’omogeneizzato che diamo ai nostri bimbi, alla merendina delle macchinette, al gelato confezionato e chi più ne ha più ne metta. Il pericolo, dunque, risiede nelle abitudini a consumare durante la giornata un quantitativo eccessivo di prodotti industriali, non tanto il problema dei grassi saturi in sé.
Se ci riconosciamo in questa descrizione faremmo meglio a rivalutare il nostro stile alimentare generale e cercare di correggerlo, piuttosto che individuare ogni volta un capro espiatorio. Non esistono alimenti buoni o cattivi in senso assoluto. Il problema risiede in ciò che facciamo tutti i giorni, perché è qui che si creano i veri danni. Modificare le nostre scelte quotidiane, preferendo alimenti semplici, prodotti con ingredienti sani, innescherebbe meccanismi virtuosi che potrebbero anche costringere l’industria alimentare a rivedere le scelte adottate in ambito produttivo. Scelte che, oltre a salvaguardare la nostra salute, impatterebbero anche meno sull’ecosistema e sull’economia dei Paesi più poveri.
E negli ultimi mesi, grazie a una petizione che ha raccolto migliaia di firme, sono sempre di più i cittadini che chiedono alle aziende un cambiamento di rotta e la lista di quelle che iniziano a eliminare questo ingrediente dai propri prodotti si allunga. Ma non basta! Credere che sia solo l’olio di palma ad avere conseguenze deleterie sulla nostra salute è troppo comodo e innesca crociate senza fine: ieri contro il burro, poi contro i grassi trans e oggi con l’olio di palma. Il concetto da tenere a mente, invece, è che un elevato consumo di quest’olio è indice di cattive abitudini in generale, che ci allontanano sempre di più dal cibo vero e ci consegnano giorno dopo giorno nelle mani di spietate logiche di mercato, all’interno delle quali noi tutti esistiamo solo in quanto consumatori.
Dott.ssa Laura Guarnacci, dietista
4 Luglio 2015 @ 19:33
La petizione si trova su Change.org a questo indirizzo ha raccolto 153 mila firmeed è stata promossa da Il fattolimentare.it
https://www.change.org/p/stop-all-invasione-dell-olio-di-palma