Il Piccolo Principe, pubblicato il 6 aprile 1943 a New York, è un romanzo sull’educazione dei sentimenti e negli anni è divenuto un best-seller, tanto da essere stato tradotto in 250 lingue. Secondo Antoine de Saint-Exupéry, l’autore dell’opera, è un libro per ragazzi che si rivolge agli adulti e questo perché al suo interno ci sono vari piani di lettura che offrono temi di riflessione a persone di età diverse. Quest’opera è la più conosciuta dell’autore francese (e tra le opere più celebri del XX secolo), che l’ha dedicata al suo amico Leon Werth, e affronta temi come l’amore, l’amicizia e il senso della vita. Saint-Exupéry ha anche inserito una decina di acquerelli realizzati da lui, disegni e naif che nel tempo sono diventati famosi quanto il romanzo e che sono stati utilizzati per creare le copertine del libro.
Il romanzo narra le vicende di un bambno, il Piccolo Principe (metafora dello sguardo infantile sul mondo), che incontra un pilota di aerei precipitato nel deserto del Sahara. Mentre i due iniziano a conoscersi, il Piccolo Principe racconta di provenire da un asteroide abitato da lui, tre vulcani e una magnifica rosa di cui si prende cura. Il giovane dice all’aviatore di aver viaggiato per lo spazio e di aver conosciuto vari personaggi bizzari, che però gli hanno lasciato degli insegnamenti.
Nel racconto emerge che il bambino è scappato dal suo pianeta proprio a causa della rosa, che lo ha fatto soffrire, ma poi viene anche detto che lui le vuole bene esattamente come lei ne vuole a lui. E sulla Terra capisce che quella rosa, che lui ha sempre considerato un fiore raro, esiste anche altrove. Ma ben presto capisce anche la differenza tra quella che possiede, quella con cui non riesce a gestire il rapporto, e tutte le altre:
Il Piccolo Principe se ne andò a rivedere le rose.
“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente” disse.
“Nessuno vi ha addomesticato e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico e ne ho fatto per me unica al mondo”.
E le rose erano a disagio. “Voi siete belle, ma siete vuote”, disse ancora. “Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro, Perché è lei che ho riparato col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa“.
Così, alla fine, il Piccolo Principe si prepara a tornare sul suo pianeta, dove l’attende la rosa e, a un anno dal suo arrivo sulla Terra, si fa mordere dal serpente per poter tornare a casa. All’aviatore, con cui ha instaurato un legame profondo, lascia quello che ha imparato dai personaggi incontrati e le stelle da guardare per ricordare la loro amicizia:
“Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere!” E rise ancora
“E quando ti sarai consolato (ci si consola sempre), sarai contento di avermi conosciuto. Sarai sempre il mio amico. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai a volte la finestra, così, per il piacere… E i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. Allora tu dirai: “Si, le stelle mi fanno sempre ridere!” e ti crederanno pazzo. “T’avrò fatto un brutto scherzo…” E rise ancora. “Sarà come se t’avessi dato, invece delle stelle, mucchi di sonagli che sanno ridere“.