Il 10 novembre 1975 Italia e Jugoslavia firmarono, nella villa Diatuauti-Leopardi, il trattato di Osimo (cittadina marchigiana), con cui il primo Stato, di fatto, rinunciò alla sovranità sulla zona B dell’ex Territorio libero di Trieste (l’Istria) e concesse una zona franca italo-jugoslava. E la Jugoslavia non dovette offrire nessuna contropartita. Fu molto criticata la decisione dello Stato, che sembrò non accorgersi nemmeno di aver rinunciato a parte del proprio territorio, soprattutto perché gli esuli italiani sostennero a gran voce di essere stati completamente abbandonati.
La questione triestina ben presto si trasformò in un vero e proprio caso politico nel dopoguerra e nel 1975, quando l’accordo apparve ormai imminente, la polemica esplose subito, ma il governo, ovviamente, difese la decisione presa e quasi tutte le forze politiche diedero il consenso, anche il PCI, che per la prima volta votò a favore di un atto di politica estera del governo in carica. A guidare l’opposizione, invece, fu il MSI, che rivendicò con grande ardore l’italianità di quei territori. A mandare avanti le trattative, solo il 1° ottobre il governo parlò dell’esistenza di queste trattative e il ministro Rumor parlò della necessità di stabilire la “pace adriatica” anche se la scelta era amara, per la prima volta non fu il Ministero degli Esteri ma un funzionario del Ministero dell’Industria, Eugenio Carbone.
La firma del trattato di Osimo, che per molti passò inosservata, ebbe non poche conseguenze a Trieste, città che trovò nelle colonne de Il Piccolo, il quotidiano che rivelò l’esistenza di accordi segreti con anticipo, il suo megafono. La DC ne uscì a pezzi perché ritenuta la principale responsabile e un mese dopo la firma una delle sue sezione fu presa di mira da persone che lanciarono due bottiglie incendiarie.