Roma, 24 ottobre – Sono San Giuseppe, Ascensione, Corpus domini e SS. Pietro e Paolo le festività soppresse per i vari dipendenti della Camera, che vengono ogni anni rimborsate per un valore di 1milione e mezzo di euro. L’Espresso pubblica un’inchiesta nella quale viene portata a galla la richiesta, attraverso un bollettino sindacale, da parte dei dipendenti della Camera, di rimborso dei quattro giorni di festività dovuti. In pratica, secondo un meccanismo di anzianità, nel giro di poco tempo consiglieri e commessi accumulano un pacchetto annuo di 30-40 giorni di ferie (la media di un lavoratore è di 24 giorni), ai quali si aggiungono i menzionati quattro giorni di festività soppresse che, se non utilizzate entro l’anno, vengono liquidate con cifre di tutto rispetto che si aggirano, appunto, sui mille euro.
Moltiplicando la cifra per i dipendenti di Montecitorio si arriva facilmente a 1milione e mezzo di euro, pagato dagli italiani. Poco importano i sacrifici chiesti ai contribuenti, costretti all’aumento dell‘Iva e al reinserimento dell’Imu, poco importano gli scioperi e le manifestazioni, i dati sull’aumento della disoccupazione e quelli dei suicidi dovuti alla depressione per la perdita del lavoro. A Palazzo non si rinuncia a nulla, neppure a quattro giorni di festività. Ma non finisce qui. I dipendenti della Camera possono contare anche su un “monte ore” in base al quale gli straordinari, non retribuiti per contratto, si accumulano diventando giornate in più di ferie.
Quindi i 50 giorni di base l’anno superano facilmente i 60 e se proprio non si riesce a godere di tutto questo meritato riposo, il pacchetto Palazzo prevede che si possa andare in pensione prima, calcolando i giorni di ferie non goduti (talvolta anche 6-8 mesi in anticipo). Nel frattempo l’Amministrazione sta cercando risolvere il problema per evitare di pagare una simile spesa, tra l’atro arretrata per gli anni 2011 e 2012. Si parla di marzo 2014 e nel frattempo i sindacati, sul piede di guerra, si muovono per fronteggiare una simile ingiustizia.
Fonte: L’Espresso