Roma, 19 dicembre- Confindustria parla chiaro riguardo alla crisi economica, fornendo anche la sua contrarietà alla nuova legge di stabilità, che non sarebbe in grado di risollevare la situazione. E aggiunge che parlare di ripresa da parte del governo è improprio, se non addirittura derisorio. «La profonda recessione, la seconda in 6 anni, è finita. I suoi effetti no.- si legge nel rapporto del centro studi di Confindustria– Il Paese ha subito un grave arretramento ed è diventato più fragile, anche sul fronte sociale. Simili danni sono commisurabili solo con quelli di una guerra. Una situazione che mette fortemente a rischio la tenuta sociale ». I primi effetti della crisi economica si rispecchiano sul lavoro e sul numero di disoccupati che ingrossano le fila della povertà «Le persone a cui manca il lavoro, totalmente o parzialmente, sono 7,3 milioni, due volte la cifra di sei anni fa. I poveri sono raddoppiati a 4,8 milioni. In sei anni di crisi le famiglie hanno tagliato sette settimane di consumi, ossia 5.037 euro in media l’anno. Dall’inizio della crisi (fine 2007) si sono persi 1 milione e 810 mila unità di lavoro equivalenti a tempo pieno». Nonostante le stime precedenti però sembra che dall’anno prossimo il pil tornerà a salire, con +0,7 per cento nel 2014 e un +1,2 per cento nel 2015. Dal 2007 però l’Italia ha perso oltre 200 miliardi di reddito, i quali si possono recuperare, secondo Confindustria, attraverso “riforme incisive”. Infine un altro misuratore della crisi che si ripercuote immediatamente sugli italiani e sulla loro possibilità di far girare l’economia e i consumi, sono le retribuzioni. Questa volta i dati vengono dall’Istat. Le retribuzioni contrattuali orarie sono salite solo dell’1.3 per cento rispetto lo scorso anno, questo rialzo è il basso dal 1992, cioè da 21 anni. Nel dettaglio vediamo che nel settore privato e autonomo i livelli si sono alzati dell’1,7 per cento, mentre invece nel settore pubblico non c’è stato nessun tipo di rialzo. Il settore pubblico infatti sta ancora facendo i conti con il congelamento dei contratti, a fine novembre i lavoratori in attesa di rinnovo del contratto erano il 48,9 per cento.