Roma, 11 dicembre – Dopo le varie teorie sulla vicenda che ha visto a Torino gli agenti togliersi il casco davanti ai manifestanti, è scoppiato un vero e proprio caos. Dall’alto si è tentato, invano, di chiudere la vicenda sostenendo si sia trattato di un atteggiamento di routine in casi simili, anche se viene da chiedersi quando mai sia accaduto, davanti a una folla di facinorosi, arrabbiati e agguerriti, che le forze dell’ordine mettessero a rischio la loro incolumità con un gesto simile. La risposta arriva proprio da uno di loro. Un ragazzo di 30 anni che stava in prima fila quel giorno e che spiega in un’intervista al Giornale cosa sia effettivamente accaduto e perché. Un’intervista dalla quale trapela quanto l’insoddisfazione sia condivisa anche dalle forze dell’ordine che solo poco tempo fa minacciavano a Roma di far entrare i manifestanti se non avessero visto pagati gli stipendi (leggi l’articolo) ma che a quanto pare sono rimasti inascoltati. Un malcontento che esiste e si diffonde giorno per giorno tra la popolazione, con tassi di disoccupazione alle stelle, povertà assoluta anche fra i bambini e mancanza di provvedimenti efficaci che non siano tasse e tagli ai servizi sociali. Spiega così uno dei protagonisti cosa é successo in un giorno qualunque, quando la polizia ha sorriso ai manifestanti:
«C’erano violenti e facinorosi che cercavano sfogo e visibilità, e in quel contesto, con fermezza, abbiamo respinto le frange violente, contando due feriti tra i miei colleghi: uno colpito da un sasso, uno stordito da una bomba carta. Poi, a un certo punto, davanti a noi c’erano solo manifestanti pacifici. Ed è successo».
Vi siete tolti i caschi.
«Sì. E sia chiaro, io non ho seguito alcun ordine, ci siamo solo parlati tra di noi. È stato un gesto proiettato a dare solidarietà e vicinanza a chi – padri di famiglia, imprenditori, commercianti – sta subendo ciò che anche noi, cittadini e poliziotti, subiamo. Una delle ragioni è che il fisco soffoca respiro, speranze e sogni di ogni cittadino, noi compresi. Siamo poliziotti, riconosciamo chi abbiamo di fronte: quella gente esprimeva disagio, e noi ci siamo sentiti parte di quel popolo e di quel disagio, stanchi come loro di essere un bersaglio, di essere vittime di logiche di parole».
Insomma, siete passati dall’altra parte?
«No, abbiamo continuato il nostro lavoro. Ma con un gesto che dicesse vi siamo vicini. Anche noi siamo malpagati e sfruttati, abbiamo lo stipendio bloccato dal 2009, siamo in piazza per quattro soldi che vedremo, tra l’altro, dopo anni. La verità è che la solidarietà è venuta spontanea e facile. Un tempo c’era incertezza del futuro, ora c’è incertezza del presente. Mio padre ha perso il lavoro con questa crisi, come potevo non sentirmi parte di quel malcontento?».
Di certo, il gesto è diventato un caso. Ma per Alfano è stato solo un ordine.
«Detto che non abbiamo ricevuto pressioni dirette a minimizzare, nei video è chiaro che il gesto è stato istintivo, partito dall’interno: anche carabinieri e finanza l’hanno fatto. È stata una cosa assolutamente genuina, qualcuno dei nostri era persino commosso. L’unico ordine che ho sentito io era quello di togliere le maschere. La cessata esigenza, semmai, l’abbiamo percepita noi».
Aprendo un dialogo con chi manifestava.
«Ci hanno applauditi. Abbiamo scambiato sorrisi, non parole. Quelle sono servite tra noi, poi, per capire se c’era stato un ordine. E non c’è stato».
Disobbedienza civile. Succederà ancora?
«Nell’immediato penso di no. E comunque nessuno ha disobbedito. Abbiamo espresso in modo civile, lavorando, il nostro malcontento, un sentimento diffuso e condiviso. Non ne possiamo più di essere maltrattati, malpagati, usati nelle piazze come molla di rimbalzo per le legittime aspettative di chi manifesta pacificamente quando i primi a non essere tutelati, a non ottenere risposte, siamo noi. Lunedì, per esempio, contavamo quanti pezzi d’uniforme fossero comprati di tasca nostra: anfibi, maglia in pile, scaldacollo. Ma la disobbedienza non ci appartiene. È stato un gesto di solidarietà, che amalgama poliziotti e cittadini».
(Il Giornale)