Roma, 21 dicembre- Matteo, 29 anni, nel 2009 è stato ucciso a colpi di pistola dopo una lite. Per omicidio e concorso in omicidio furono arrestati sei coetanei, tutti fra 20 e 30 anni. Era fra loro Paolo Peruzzi, condannato a 16 anni per concorso in omicidio, ma giudicato impossibilitato a sopportare il carcere a causa di una forte depressione. Dopo i primi giorni di arresti domiciliari si è dato alla fuga, ormai sono cinque mesi che è scomparso nel nulla. Paolo è alla macchia dal luglio scorso e le indagini dei carabinieri di Latina su tutto il territorio nazionale ed estero non hanno portato nessun risultato. Ma oltre alla fuga, riuscita senza problemi, c’è un altro dubbio che getta sempre più ombre sul nostro sistema giuridico e penitenziario. Paolo era stato intercettato in carcere mentre ammetteva di fingere la sua malattia, giudici e medici avevano considerato queste dichiarazioni come facente parti della stessa depressione. Gli psichiatri hanno sostenuto che in molti casi questo tipo di malattie non viene accettata o compresa in primis dalle persone che ne soffrono che negano di averla. Che cosa però non ha funzionato? Il controllo ai domiciliari? La perizia psichiatrica? Quello che è rimasto è il commento sconsolato di un padre che ha perso il proprio ragazzo, per una semplice lite «Ma che forse tutti gli altri carcerati sono felici di stare dentro? Non sono depressi anche loro? Mi pare che di questi tempi un po’ troppa gente esca dal carcere non avendo alcun titolo per farlo. E adesso che hanno preso pure Bartolomeo Gagliano ( il serial killer scappato in permesso premio) in Francia, mi domando ancora: chi c’è dietro Peruzzi che non si riesce a trovare?»