Roma, 2 dicembre- Alcuni esperti e pedagogisti affermano che sarebbe un bene per i ragazzi, e lo Stato risparmierebbe pure tre miliardi, sono d’accordo professori universitari e imprenditori, solo i sindacati degli insegnanti si oppongono. Diminuire la durata del ciclo scolastico di un anno, in modo che i ragazzi possano diplomarsi a 18 anni piuttosto che a 19, porrebbe l’Italia in linea con gli altri Paesi europei, gli Stati Uniti e la Cina, ma il dibattito si è fermato al 2001, quando fu sotterrata la riforma Berlinguer. Alcune scuole paritarie hanno già sperimentato in via eccezionale, grazie al consenso del ministero, la durata inferiore del corso di studi. Il ministro dell’istruzione Maria Chiara Carrozza, dopo aver visitato il liceo Guido Carli di Brescia, ha affermato che se ai suoi tempi ne avesse avuto la possibilità, avrebbe preferito studiare in una scuola come questa e alcuni presidi di licei e istituti tecnici dall’anno prossimo contano di avviare il programma anche nelle scuole pubbliche.
In realtà già nel 2000, con la legge n.30, il ministro Luigi Berlinguer aveva predisposto una rimodulazione dei cicli scolastici, lasciando immutata la durata della scuola secondaria superiore, ma accorpando elementari e medie in un ciclo unico di 7 anni. Letizia Moratti, ministro dell’Istruzione dal 2001, ha poi abbandonato la riforma e lo stesso fece la Gelmini, mentre l’ultimo ad esprimersi a favore di una riconsiderazione della riforma è stato Francesco Profumo, che l’aveva indicata come una delle priorità del 2013. I sindacati, tuttavia, ostacolano un’eventuale diminuzione della durata scolastica, temendo i tagli al personale docente e a questo proposito la Flc-Cgil ha precisato: «In questo momento non ci sono le condizioni, prima servono investimenti per la scuola». Nei programmi dei partiti, pertanto, non si accenna a una riforma di questo tipo, tutt’al più nel programma del PDL si accenna ad un’anticipazione dell’ingresso alla scuola elementare a 5 anni, per raggiungere l’obiettivo del diploma a 18 anni evitando i costi politici.
In Paesi come l’Inghilterra, Malta, Cipro e l’Irlanda del Nord si comincia la scuola a 5 anni, altrove addirittura a 4, mentre, come in Italia, negli Stati Uniti e in Francia, Belgio, Spagna, Germania e Austria ci si siede tra i banchi all’età di sei anni. Tuttavia, l’ipotesi di anticipare l’ingresso a scuola non incontra il favore dei pedagogisti, così Susanna Mantovani, professore ordinario di Pedagogia generale alla Bicocca di Milano: «I Paesi che hanno i migliori risultati nei test Ocse, come per esempio la Finlandia, iniziano addirittura a 7 anni. E poi, avendo noi una buona scuola dell’infanzia, mi pare illogico tagliare un anno all’inizio del percorso scolastico solo perché il liceo in Italia è sacro». Luigi Berlinguer, autore dell’inapplicata riforma del 2000, spiega a “la Lettura” che sarebbe opportuno accorpare l’ultimo anno della scuola elementare al primo della scuola media «per un passaggio più morbido tra l’educazione primaria e quella secondaria-disciplinare. Ormai gli istituti comprensivi, dove elementari e medie si trovano anche fisicamente nello stesso posto, sono molti. Cinque scuole hanno chiesto questa sperimentazione, ma il ministero non ha dato il permesso».
Secondo la Mantovani, che per anni è stata contraria all’ipotesi, la soluzione più efficace sarebbe quella di eliminare l’ultimo anno dell‘istruzione superiore, non solo perchè «i ragazzi sono stufi, privi di motivazione e questo dimostra che il vecchio impianto gentiliano è affaticato», ma anche perchè l’ultimo «dovrebbe diventare un anno di passaggio in cui si esce dalla gabbia dei programmi per incominciare a nuotare da soli: si potrebbe anche pensare che chi è pronto si iscriva subito all’università». Per Andrea Gavosto della Fondazione Agnelli, invece, l’efficacia di questa riforma si rivelerebbe soprattutto per i laureati «che si confrontano con i loro coetanei stranieri; molto meno invece i diplomati, che restano a lavorare in un ambito locale. E per i laureati i ritardi maggiori si accumulano all’università» e inoltre «il nostro sistema distribuisce l’investimento sul capitale umano, cioè l’istruzione, in un modo che funzionava 50 anni fa. Oggi i ragazzi nell’ultimo anno di superiori si annoiano: vorrebbero andare all’estero e invece sono lì bloccati. Sarebbe molto più utile riservare un anno di istruzione o formazione da poter usare durante l’esperienza lavorativa, sul modello anglosassone o scandinavo dei prestiti di onore».
E in effetti, anche dal punto di vista accademico, l’ipotesi della riduzione del ciclo scolastico sarebbe quantomai efficace. In questo senso sono stati avviati degli esperimenti in alcuni licei veneti da parte dell’Università Ca’ Foscari, che ha permesso di frequentare un corso di universitario agli studenti dell’ultimo anno di liceo. Superare l’esame finale del corso significa dover dare un esame in meno l’anno successivo. Alberto De Toni, rettore dell’Università di Udine e responsabile istruzione e alta formazione della Conferenza dei rettori spiega «che la divisione del percorso in due cicli diminuisce la dispersione scolastica e dunque il sistema 7+5 sarebbe più utile per gli studenti e le famiglie. In Italia viviamo poi anche il paradosso che, essendo l’istruzione obbligatoria fino a 16 anni e ricevendo invece i ragazzi la qualifica degli istituti professionali a 17, almeno il 20 per cento dei ragazzi dei professionali lascia prima di ricevere la qualifica, alla fine del secondo anno. Se iniziassero un anno prima, a 16 anni potrebbero avere il diploma. Ridurre di un anno il curriculum scolastico poi è un bel risparmio anche sociale e per le famiglie e a 21 anni avremmo dei laureati (laurea breve) come nel resto d’Europa».
Rimodulare il ciclo scolastico e riscrivere i programmi sarebbe quindi una soluzione auspicabile per internazionalizzare la scuola del nostro Paese, senza provocare il caos tra gli insegnanti e secondo de Toni la possibilità oggi ci sarebbe: «Se si arrivasse a ridurre il liceo a quattro anni — spiega De Toni — gli insegnanti in esubero potrebbero utilmente essere chiamati a insegnare negli Its, gli Istituti tecnici superiori ad alta specializzazione tecnologica, creati con la riforma Gelmini e partiti tra gli stenti (formano non più di 5 mila studenti) e senza fondi, che invece avrebbero bisogno di moltiplicare i posti per i ragazzi».
Una voce contraria è quella di Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia generale e sociale alla Bicocca, secondo cui sarebbe necessario sottoporre a grossi cambiamenti tutto il ciclo scolastico, in particolare la scuola media inferiore, facendone il fulcro del percorso formativo: «Partiamo dai bisogni dei ragazzi: manca una scuola della preadolescenza che aiuti i teenager a elaborare il periodo dagli 11-12 anni ai 15-16. Caricare su un tredicenne (e sui suoi genitori) il peso della scelta del proprio destino è sbagliato: come si fa, a quell’età, a scegliere il liceo coreutico o lo sportivo?». Il primo ciclo, secondo Mantegazza, dovrebbe durare cinque o sei anni e le medie quattro anni, con il latino obbligatorio per tutti e infine tre anni di superiori: «Penso a un modello flessibile in cui si fanno delle ore di scuola, degli stage in azienda, magari anche un mese all’estero e si comincia anche a frequentare l’università». Ma una riforma di questo tipo, che richiede cambiamenti radicali, difficilmente incontrerebbe l’approvazione del Parlamento.